giovedì 23 giugno 2022

 

Briganti casalini

NON SOLO BRIGANTI.
INNOCENZO D’IPPOLITO, BIRRO DI CAMPAGNA
Nel pozzo senza fondo dell’Archivio di Stato di Cosenza tra le fonti documentarie della Regia Udienza Provinciale, alla busta 29, troviamo una interessante storia serritana e casalina. Non una storia di briganti come il titolo lascia supporre, ma di un “birro di campagna”, ovvero, per essere più comprensibili, un cacciatore di briganti.
Si tratta di una serie di documenti che provano quanto è profonda la storia del brigantaggio nei casali. Prova che il fenomeno del brigantaggio non emerge solo dopo l’unità d’Italia o in reazione all’invasione francese dei primi anni del 1800, come spesso si sente dire, ma è un fenomeno endemico. Il termine “endemico” è quello usato da Alexandre Dumas e riferito proprio ai Casali di Cosenza in un racconto in 7 capitoli sulla storia di Pietro Monaco e Ciccilla sul giornale L’Indipendente dal maggio 1864.
Siamo alla fine del 1700, quando, in un ennesimo conflitto armato con i briganti, il birro di campagna Innocenzo D’Ippolito di Serra Pedace ha la peggio. Questo serritano probabilmente fa parte della famiglia che ha per soprannome Colata e di cui pubblichiamo la foto dell’antico portone della loro abitazione. Innocenzo viene colpito alla coscia da un colpo di archibugio che gli provoca la frattura della gamba. Rimane in pericolo di vita per un breve periodo e solo dopo una lunga degenza, durata oltre un anno, riesce a rimettersi in piedi.
Un anno di costose cure mediche e, alla fine del periodo, non solo rimane claudicante, ma è anche ridotto alla fame. Si dà da fare. Si rivolge all’Uditore della Regia Udienza, Don Giuseppe Grimaldi, per ordinare ai sottoposti Caporali e al Capitano delle “Compagnie di Campagna” (ovvero le squadre di militari al servizio dei tribunali di allora) dove aveva prestato le sue notevoli capacità guerriere, di attestare e certificare davanti a un notaio le sue prestazioni e i servizi resi al servizio della Regia Udienza. Insomma, si rivolge ai suoi ex datori di lavoro per chiedere un aiuto, che in seguito a questi attestati arriva con l’assunzione presso le carceri del Castello di Cosenza.
Da questi attestati ci appare uno straordinario spaccato che svela per un attimo la portata del fenomeno “endemico” del brigantaggio di cui parla Dumas. Questo spaccato riguarda, parte delle vicende di un solo militare, pagato dal potere di allora per catturare o uccidere malviventi. Innocenzo non era il solo cacciatore di briganti e immaginiamo che queste vicende siano le uniche che è riuscito a certificare, potrebbero essercene delle altre. Insomma questi documenti mostrano il brigantaggio di un periodo di cui ci sono pochissime fonti documentarie che possono accendere una luce parziale su questo fenomeno.
Non ci sono a Cosenza e in Calabria processi o sentenze che riguardano il periodo precedente al 1800, e non perché non ci fosse il fenomeno, ma semplicemente perché è scarsamente documentato. Per trovare qualche processo bisogna andare all’Archivio di Stato di Napoli. Anche l’obbligo di conservare arriva dopo il 1800. Questi documenti sono una rarità assoluta.
1° attestato
In esecuzione di un retto ordine io Capitano della Compagnia di Campagna di questa Regia Udienza certifico di aver svolto, per ordine del Tribunale, assieme a Innocenzo D’Ippolito, venturiero di detta Compagnia e per la sua assistenza ed efficacia, le seguenti carcerazioni e conflitti di schioppettate per la persecuzione dei malviventi che perturbavano il pubblico commercio:
• La recisione del teschio di Giuseppe Aiello, alias Macchione della terra di Parenti, compagno del famoso Angiolo Tancredi, alias lo Zingaro. Il teschio fu portato in trionfo nella Regia Udienza e quindi rimandato a Parenti in una grata di ferro per orrore degli altri malviventi;
• La recisione del teschio del famoso malvivente Giovanni Quieto di Carpanzano che fu portato in trionfo nella Regia Udienza per i suoi orribili delitti;
• La recisione del teschio di Giuseppe Oliverio di Pietrafitta, fuggitivo delle Regie Galere, ove era stato condannato a vita per i suoi misfatti, compagno di Angiolo Tancredi, alias lo Zingaro. Che fu portato in trionfo in questa residenza;
• La carcerazione degli scorridori di campagna Ferrajno, Saverio Vespascilleo, Gennaro Villella di Conflenti, soci del malvivente Antonio Roberti, alias Zingheo. Tutti portati in trionfo in questa Regia Udienza;
• La carcerazione del famoso Pietro Cappello del casale di Malito il quale per i suoi delitti morì sulla forca.
Innocenzo D’ippolito partecipò con sommo spirito e valore alla cattura con conflitti di schioppettate alle mensionate carcerazioni ed è la verità.
Cosenza 26 febbraio 1789
Io Vincenzo … (firma incomprensibile), Capitano della Compagnia di Campagna certifico come sopra.
Notaio Michael Romano (segno del tabellione)
2° attestato
In esecuzione di retto ordine il sotto croce segnato Domenico Rizzuto, Tenente della Compagnia di Campagna di questo Tribunale, in piena e veridica fede, anche con giuramento e sotto pena di falso certifico che assieme a me ed ad altri soldati, al mio seguito vi fu il venturiero Innocenzo D’Ippolito del Casale di Pedace giovane di spirito. Con il suo aiuto e coraggio si resero a questo Regio Fisco i seguenti servizi:
• La carcerazione dello scorridore di campagna Pietro Aiello della Terra di Bucita e la carcerazione dei Magnifici Don Domenico, di Caligiuri della Città di Scigliano rei di omicidio in persona di Don Giuseppe Lamanna
Segno di croce di Domenico Rizzuti
Notaio Michael Romano (segno del tabellione)
3° attestato
In esecuzione di retto venerabile ordine da me qui sotto croce segnato Saverio Saladino Caporale della Compagnia di Campagna di questa Regia Udienza si fa piena luce, certa e veridica fede anche con giuramento e sotto pena di falso. Che essendo stato destinato da questo Tribunale alla persecuzione dei pubblici malviventi, tra gli altri soldati vi è stato il venturiere Innocenzo D’Ippolito, giovane di buona abilità, spirito e condotta e per il suo coraggio si effettuarono i seguenti servizi a prò di questo Regio Fisco:
• la carcerazione degli scorridori di campagna Matteo e Gaspare Celestino del Casale di Pedace;
• la carcerazione di Bonaventura Greco del Casale di Macchisi, reo di omicidio in persona di Don Pietro Antonio Gerbasi;
• la carcerazione di Filippo e Luigi Di Marco del Casale di Malito soci del Giustiziato Pietro Cappello che furono portati in trionfo in questa Regia Udienza
• la carcerazione di Antonio Di Stefano del Casale di Grimaldi, socio del detto afforcato Pietro Cappello;
• la carcerazione di Tomaso Roberto, Saverio Mastrojanni, Gennaro Villella, Pietro Marrazzo ed altri scorridori di Campagna della terra di Conflenti soci del famoso Antono Roberto, alias Zingheo che per ordine di questo Tribunale furono portati in trionfo in questa Regia Udienza.
Nell’eseguire suddette carcerazioni Innocenzo D’Ippolito si è comportato con il massimo spirito e valore, per questa verità firmo il presente atto ed a fede.
Cosenza 4 marzo 1789
Segno di croce di Saverio Saladino
Notaio Gregorius Assisi
4° attestato
In esecuzione del retroscritto venerato ordine del Signor Uditore di questa Regia Udienza D. Giuseppe Grimaldi si fa fede che il sotto croce segnato Vito Clauso, Caporale della Compagnia di Campagna di detta Regia Udienza, con giuramento che il sottoscritto Innocenza D’Ippolito ha accudito presso di me assieme alle squadre nelle campagne in persecuzione dei malviventi a seconda di come questo Tribunale ordinava, ed il medesimo D’Ippolito, secondo le occorrenze, ha dimostrato il suo spirito e valore nelle carcerazione degli scorridori di campagna e specialmente quella di
• Francesco Varca di Pedace Serra, celebre scorridore di campagna
• Matteo D’Ambrosio di Pedace Serra reo di omicidio;
• Leonardo Magliaro di detto Casale, reo di omicidio e scorridore di campagna, che dal tribunale si ordinò il trionfo;
• Francesco Martire da Pedace Perito, celebre scorridore di campagna e trasportato in trionfo;
• ed altri rilevanti servizi.
Cosenza 29 Aprile 1789
Segno di croce di Vito Clauso
notaio Ignazio Giudice di Cosenza
5° attestato
In esecuzione del veneratissimo ordine di vostra signoria, certifico ed attesto io sotto croce segnato Saverio Saladino, Caporale di questa Compagnia di Campagna di questa Regia Udienza che tra i soldati del mio seguito vi fu Innocenzo D’Ippolito, giovane di abilità spirito e valore. Con l’assistenza del medesimo mi riuscirono le seguenti carcerazioni:
• la carcerazione di Fedele Ferro di Casole, reo di più omicidi;
• la carcerazione di Michele Lo Canto della bagliva di Pedace reo di gravi delitti e scorridore di campagna che fu condotto pomposamente in questo regio tribunale
• la carcerazione di Bruno Lo Canto di Pedace, socio di detta comitiva;
• la carcerazione di Giuseppe e Raffaele Lionetti e la morte di Saverio Cozza tutti della suddetta bagliva di Pedace, insieme ad altri costituivano una comitiva che aveva per capo Michele Lo Canto che furono qui pomposamente portati col solito sparo in questa Regia Udienza.
Cosenza 28 Aprile 1789
Segno di croce di Saverio Saladino
Notaio Vincenzo Del Pezzo
Da notare, a meno che non si tratti di una omonimia, che Michele Locanto o Lucanto, pedacese domiciliato ad Acri, circa un decennio dopo fu processato dalle autorità francesi e accusato di essere un sodale del celebre brigante Giacomo Pisano alias Francatrippa e responsabile delle stragi di Acri di cui scrive Giuseppe Abbruzzo nel suo informato libro Terrore ad Acri e molti altri storici.
6° attestato
In esecuzione di veneratissimi ordini si certifica da me sotto croce segnato Caporale Saverio Saladino della Compagnai di Campagna della Regia Udienza Provinciale della Città di Cosenza, attesto che per tutti gli incarichi ricevuti di questo illustrissimo tribunale per l’estirpazione ed arresto dei malviventi sono stato assistito dal venturiero Innocenzo D’Ippolito di buona qualità e di costume spiritoso che in ogni occorrenza e arresto di malviventi ha dimostrato il suo spirito e valore. Per i suoi modi di fare si sono effettuati grandi e rilevanti servizi, in particolare il forestiero Samuele Ceffa della Città di Nocera, capo di una formidabile comitiva. Fu arrestato assieme al suo compagno Francesco Vaccaro della Medesima città.
Cosenza lì 14 dicembre 1790
Segno di croce di Saverio Saladino che certifica come sopra
In nostra presenza ed ad fede notaio Cayetanus Lupinacci ad Casulis
7° attestato
In esecuzione del vostro venerato ordine di vostra signoria Illustrissima io qui sottoscritto Caporale di questo Trbunale Pietro Gallo, certifico che Innocenzo D’Ippolito soldato del Regio Tribunale si è ritrovato presso di me nella persecuzione di molti malviventi e per il suo spirito e valore che ho sempre conosciuto ha concorso con il medesimo in moltissimi e rilevanti servizi come qui sotto elencati:
• Gasparo Rendi di Nocera, reo di omicidio, catturato e condotto in queste reali Forze;
• Carlo Dimigliano di Majori, reo di omicidio;
• Antonio Chiodo di Soveria reo di colpa e causa di omicidio per le quali reità è stato poi condannato a 15 anni di galera.
• Gaetano Ortale di Mangone reo di furti e altro;
• Filippo Lancellotti di Rugliano reo di furti e altri delitti
Cosenza 21 luglio 1795
Io Pietro Gallo certifico come sopra
Notaio Franciscus Christoforus Miglio ab Aprigliano
8° attestato
In esecuzione del venerato ordine di Vostra Signoria Illustrissima, fò certa e indubitata fede io qui sotto croce segnato Caporale della Compagnia di Campagna di questo Regio Tribunale, Florio Cerrara (o Florido Cernaro o Florio Cetraro) impiegato nella persecuzione di moltissimi malviventi, che da questo Regio Tribunale ne sono stato incombenzato per l’estirpazione, ho sperimentato fortissimamente valore e spirito nella persona di Innocenzo D’Ippolito, soldato di detta Compagnia per la quale si sono effettuati rilevanti carcerazioni come qui sotto annotate:
Gennaro Straticò, Gennaro Cipollini, Vincenzo Straticò alias Barone, Francesco Loprete, Nicola e Vincenzo Vaccaro, Domenico Mazzei, Domenico Cortese, Saverio e Vincenzo Bavasso, Vincenzo D’Agostino, Roberto Drammis, Nicola Cortese alias Cozzolino, Roberto Bianco, Vincenzo Capparelli, Pietro Rossano, Nicola Miele e suo figlio, Francesco Miele di Clemente, Nicola e Francescantonio Gullo, Pietro Capparelli, Antonio Cortese alias Capaza, Francesco Vecchio alias Cipazzo.
Tutti rei di moltissimi delitti della compagnia detta di Lungro. Onde in onore del vero ne ho fatto firmare la presente
Da notare che alcune delle persone perseguitate saranno i protagonisti delle lotte patriottiche del secolo successivo.
Cosenza 28 Agosto 1795
Segno di croce di Florio Cetraro che attesta e conferma
Notaio Aloysius Troisi (?)
9° attestato
Ferdinando IV Dei Grazia Rex
Il Cavaliere D. Raimondo Blanch, brigadiere delli Eserciti di S. M. (D. G.) Preside, e Governatore dell’armi in questa Provincia di Calabria Citra
Innocenzio d’Ippolito Caporale di questa Compagnia di Campagna saprete come per potersi continuare non meno la scorta al regio Procaccio, che da Reggio si porta nella Capitale, e dalla Capitale in Reggio, transitando per i luoghi di Morano, Castrovillari, e sue adjacenze, che per perseguitare le persone mal’intenzionate, che tendono commettere furti nè pubblici camini, ha stabilito il Tribunale di doversi il Procaccio anzidetto accompagnare da una Squadra all’individui di questa Compagnia di Campagna per esser al medesimo di sicura scorta nell’introdursi in questa Provincia, finochè giunge in Castrovillari; e poiché la Squadra, che al presente si trova a tal uso applicata, è sprovista del Caporale che deve guidarla; per ciò dicemo, ed ordiniamo a voi sudetto di portarvi in Morano, per far cogli altri compagni accompagnarsi all’enunciato Procaccio tanto sull’andare, che nel ritorno, che farà per quei luoghi così di notte che di giorno affindi renderlo sicuro, e lontano dall’incursione de’ Malviventi dè quali curerete benanche le persecuzione per ottenerne l’arresto, potendo in caso di bisogno richiedere magior forza a’ Governatori di Castrovillari, Morano, e Mormanno, o ad altri de’ Convicini Luoghi, a seconda delle circostanze del caso. Così dunque eseguirete.
Cosenza 1 settembre 1796
(seguono varie firme)
Dalla nostra relazione che porta la data d’jeri ho inteso la carcerazione di Don Francesco Alimena di questa città di Cosenza, che avete ritrovato travestito rusticamente nel luogo detto la Dirupata di Morano, mentre andava per Campotenese. Nel lodare il suo zelo, ed … v’incarico di consignar subito in riceversi di questa detto Carcerato Alimena al presente Caporale, che con corrispondente numero di soldati ho spedito per riceverselo, e condurlo subito in queste forze. Tanto eseguirete, e Dio feliciti.
Cosenza lì 8 Ottobre 1796
Giuseppe Potenza
Lettasi questa mattina nella Ruota di questo tribunale la vera Relazione del Re del prossimo passato 19 Ottobre con cui avete rapportato la carcerazione effettuita di Michelangelo Fabiano del Casale di Rovito qual socio d’Ignazio Scozzafave di detto Casale, reo di furto. Si è appuntato incaricarvi, siccome con questa mia fò col sentimento di quest’altra Signor (?) del Colleggio, di far detenere cautamente il sudetto Carcerato Michelangelo Fabiano per disporsi del medesimo con prossima (?) opportunità il trasporto in queste Regie Forze. Tanto eseguirete ed il Ciel vi guardi
Cosenza lì 5 Novembre 1796
Firmato, Cav. Blanck
Giusta l’avviso dato colla vostra relazione de’ sei andante Maggio, per mezzo di alcuni Soldati della Squadra si sua assistenza, si sono trasportati, e fatti ricevere in queste Forze i Carcerati Leonardo Covello di Alessandria, e Biase Minervini di Cepollina, da voi, e una squadra arrestati, il primo come uno dei Rei di omicidio (?) … in persona di Vincenzo La Banca di detta Terra di Alessandria ed il secondo come reo di furto, e si darà a medesimi il corrispondente esito di giustizia. Le sia di prevenzione e Dio vi guardi.
Cosenza li 15 Maggio 1797
Gennaro Pacelli (?)
Al ricevo la detta chiama
Cap. Innocenzo d’Ippolito
Morano
10° attestato
Ferdinando IV Dei Gratia Rex
Regia Udienza di Cosenza providente(?)
Innocenzo d’Ippolito caporale di questa Compagnia di Campagna per poter continuare la scorta del Regio Procaccio, che da Regio si porta nella Capitale, e dalla Capitale in Regio transitando per i luoghi di Morano, Castrovillari, e sue adiacenze, per perseguitare le persone maleintenzionate che tendono commetter furti nei publici camini, ha stabilito questo Regio Tribunale di doversi il Procaccio anzidetto accompagnare da una squadra delli individui di questa sudetta compagnia di Campagna per esser al medesimo di sicura scorta nell’introdursi in questa Provincia, finoche giunge in Castrovillari, perciò abbiamo spedito la presente, colla quale vi dicemo, ed ordiniamo di conferirvi subito in Morano colla vostra squadra per accompagnare detto Procaccio tanto nell’andare che nel ritorno che farà per quei luoghi così di notte che di giorno al fin di renderlo sicuro, e lontano dall’incursione dei Malviventi, de’ quali curarete benanche la persecuzione per ottenerne l’arresto, potendo in caso di bisogno richiedere foirza maggiore ai Magnifici Governatori di Castrovillari, Morano e Mormanno, ed agli altri luoghi del Paraggio a seconda delle circostanze del Caso. Così dunque eseguirete
Cosenza lì 11 maggio 1797
(seguono varie firme)
11° attestato
Ferdinando IV Dei Gratia Rex
D. Alessandro Coquemont Cavaliere dell’Insigne Real Ordine Costantiniano. Colonello dei Reali Eserciti di S. M. D.G. Preside e Governatore dell’Armi in questa Provincia di Calabria Citra
Cosenza 15 novembre 1797
Il Cav Coquemont
Essendo insorta la comitiva di malviventi Antonio Palazzo, alias Cento Stilla, ed altri fuggitivi di galera, naturali di Pedace, li quali dopo aver commessodei delitti nel territorio di Policastro ed in quelle adiacenze, quattro individui della stessa comitiva si sono intesi di nuovo nel territorio di Cotronei Provincia di Catanzaro del di cui Illustrissimo Preside si trova spedito in Policastro, ed arresto di tal Meluggia Lente, ... passerete subito con soldati della vostra squadra a battere i confini di questo ripartimento verso suddetta della suddetta provincia di Catanzaro e procurerete con i messi efficaci e zelo la carcerazione di essi malviventi Antonio Palazzo alias Cento Stilla ed altri fuggitivi di galera e loro compagni , altrimenti sarete risponsabile al trible di qualunque inconveniente, che potrebbe nascere dall’annidarsi e metter piede in questa provincia li sud Statuti (?) così eseguirete. E mi Soscrivo
Scigliano 18 … 1798
(incomprensibile) Malatesta
Al Caporale Innocenzo D’Ippolito
Scigliano
D. Alessandro de Coquemont Cavaliere Gran Croce del Real Ordine Costantiniano di San Giorgio, Colonnello dei Reali Eserciti di S.M. Preside e comandante dell’Armi della Provincia di Cosenza e sia Calabria Citra e Bruzj.
Concedo libero e sicuro passaporto al Caporale Innocenzo D’Ippolito ed a Francesco Saverio Clausi ed Antonio Matragrano Birri di questa Compagnia di Campagna
Scortare fino alla capitale li muli guidati da vitturini che si di mettono al Sig. Capitan Gente dell’Armi di Don Francesco Pignatelli giusta i Sovrani Comandi. Perciò col presente ordiniamo a tutti i singuli ufficiali, capi regi o baronali sottoposti alla sua giurisdizione ed a quelli che non lo sono, esortiamo che non … a medesimi niuna molestia nel di loro viaggio, sì nell’andare in detta capitale che al ritorno faranno da colà in questa residenza. Ma in caso di bisogno li diano tutto l’aiuto a favore necessario quanto stimano.
Cosenza lì 24 Aprile 1798
Il Cav.re A. Coquemont
D. Nicola D’Aperta Seg. … (?)
12° attestato
Ferdinando IV Per la Dio Grazia Re
D. Salvatore Carabba, Colonnello della Real Marina, Preside e Governatore dell’armi in questa Provincia di Calabria Citra
Parte da questa residenza il caporale della Compagnia di campagna di questa Regia Udienza, Innocenzo D’Ippolito con competente numero di birri si conduce con essi nel diparto della città di Scigliano per perseguitare ed arrestare tutti i malviventi che l’infestano.
A quell’effetto esortiamo al Regio Governatore di detta città, ed ordiniamo all’altri Bardi, di somministrarsi a detto caporale la forza delle Pattuglie e Mastrogiurati, quante volte allo stesso occorressero, per i casi meri momentanei ed urgenti ordinando altresì all’amministratori di ciaschedun luogo di detto riparto, di somministrare all’anzidetto caporale Ippolito, e gente di suo seguito tutto ciò che occorre a norma de reali ordini. Così eseguano
Cosenza lì 11 agosto 1798
Carrabba
Innocenzo D’Ippolito Caporale della Compagnia di Campagna, essendo …. …. Andare in seguito a’ malviventi d’unita al tenente Blanchi ed altri caporali, li fu tirato un colpo di schioppo e fu ferito nella coscia sinistra, per cui dovette soggiacere a grossa spesa per un anno, che se ne fece la cura e rimedi a detta ferita … in perfezione (?) de’ suaccennati malviventi, necessitali fede di verità. Il suaccennato Tenente Blanchi, quale ricusa farla senza percorrenza ordine di :::: che pure la supplica restar servita ordinare al med, che facesse fede di verità. E lavrà la grazia ut deus
9 Novembre 1799
Firma illegibile
Si certifica da me qui sotto tenente della Compagnia di Campagna, … il Caporale della medesima Innocenzo D’Ippolito, ritrovandosi presso di me nel mese di settembre passato anno 1798, presso una comitiva di malviventi ordina dell’evento terribile accaduto (?) in conflitto di schioppettate nel Casale d’Arma, in dove restò ferito il su accennato D’Ippolito nella coscia sinistra, onde in onor del vero ne ho fermato il punto a richiesta presso il retro (?) cennasto ordine e …
Casal lì 9 novembre 1799
Francesco Branmca certifico come sopra
IRM
Innocenzo D’ Ippolito del Regio Casale di Pedace in Provincia di Calabria Citra prostrato al suo real trono umilmente la supplica come avendo servito la maestà sua in qualità di soldato di campagna in questo Tribunale di Cosenza , andando presso banditi rischiando la vita e continuamente avere servito con quella fedeltà, zelo e valore, che il suo dovere richiedeva; infine fu incombenzato dello enunciato (?) per una rilevante carcerazione da eseguirsi nel regio casale di Aprigliano in persona di un facinoroso capo di comitiva e di tutto il suo seguito che con i loro enormi delitti aveano perturbato la pace di tante popolazioni; onde essendosi il suppl con il suo seguito cautamente portato in suddetto Casale d’Aprigliano e dopo avere appostato i suoi compagni, avendo assaltato in una casa ove vi erano di dentro i mentovati banditi, e facendo fuoco colli stessi, il suppl ebbe l’infortunio di ricevere una palla alla parte superiore della coscia che il ferì mortalmente e tutto questo accadde il 16 di settembre 1799. Ricevuto il suppl un tal colpo coll’assistenza di bravi chirurghi, e coll’aiuto di Dio, dopo avere sofferto una cura per un anno intiero, patimenti e disperdi, vendendosi tutta quella miseria possedeva sebene non vi soccombè la vita, restò tuttavia difettoso e zoppicante per ragione dell’espressata ferita. Quindi , appena cominciò a prendere la salute del IOTE(?), invece di si darli il riposo, fu destinato per custode nel Regio Carcere di questa Udienza, dove continuo per molti mesi , ed in seguito sempre è stato applicato in altri Regi servizi. Vedendosi finalmente inabilito di vantaggio servire sì per la sua età avanzata, a si per trattrovarsi difettoso e zoppo di una coscia per il colpo che ricevette, e ricorrendo presso l’innata clemenza e generosità della Maestà sua, la supplica benignarsi ordinare la giubilazione del ricorrente coll’intiero soldo a fine possa alimentarsi colla sua famiglia e supplicandola anche in nome di Maria Santissima, in riceverà a grazia ut deus.
Segno di croce di Innocenzo d’Ippolito

martedì 3 novembre 2020

 Questi i due post di fb precedenti il racconto vero e proprio 

8 ottobre 2020 - L’omicidio di Raffaele Leonetti di Santa Maria – Prima parte
Oggi li chiamiamo testimoni di giustizia e finalmente hanno il posto che meritano nel contesto di una comunità. Sono i testimoni casuali di delitti o violazioni di legge che interrogati da un rappresentante dello Stato non tacciono e, semplicemente, dicono quello che sanno e che hanno visto. Cittadini con comuni doveri, diritti e responsabilità che a seconda delle circostanze diventano eroi, perseguitati, martiri.
Questa storia di briganti avviene il giorno di Ognissanti, il 1 novembre del 1848 in via Monte Oliveto tra la chiesa di Santa Maria, la chiesa di San Leonardo e il convento di San Francesco di Paola che allora ospitava i monaci Cappuccini.
Qualche anno prima a Serra Pedace il fuoriuscito, brigante della banda di Nicola Rende, Raffaele Grande aveva rubato delle galline a Don Michele Leonetti, noto prete schierato politicamente con i patrioti.
Apparteneva a uno dei tre ceppi di famiglie che portava il cognome Leonetti e che sostennero l’arrivo dei francesi. Non sappiamo se erano legate da vincoli di parentela: una era la famiglia di Ludovico Leonetti, patriota, carbonaro della prima ora legato a Vincenzo Federici, alias Capobianco di Altilia, primo martire del Risorgimento. Un’altra famiglia era quella maggiormente coinvolta nel Sacco di Pedace, proveniva da Iotta, i numerosi fratelli, una volta trasferitisi a Serra dopo il terremoto/frana del 1782, che distrusse Iotta, divennero la famiglia egemone a Serra. La terza era quella di Don Michele con il fratello Domenico (notaio), la sorella Maria (che sposa un Valente sindaco di Pedace di allora) e il padre Daniele; quest’ultimo morì, non sappiamo in quali circostanze, a San Nicola Dell’Alto luogo dove il celebre capomassa e brigante Giacomo Pisano alias Francatrippa aveva avuto per un periodo il suo quartier generale.
Ritorniamo al furto delle galline. Il signor Raffaele Leonetti è evidentemente testimone del furto e denuncia Raffaele Grande, brigante di punta della banda brigantesca del terribile Nicola Rende. Raffaele Grande sconta la galera ed esce di prigione. Probabilmente i moti del 1848 sono appena terminati e l’illegalità diffusa che li accompagnava regnava sovrana. Il giorno di Ognissanti l’intera banda di Nicola Rende consuma la vendetta contro il povero testimone di giustizia Raffaele Leonetti.
Dalla piazza di Serra parte la spedizione punitiva. 40 briganti, come raccontano tutti i testimoni, guidati da Raffaele Grande, Nicola Rende e Raffaele Cava, altro brigante di Pedace, parte verso via Monte Oliveto in direzione della casa di Raffaele Leonetti che abitava probabilmente una delle case lungo quel vicolo che attualmente collega la strada che da Serra conduce a Pedace per Santa Maria.
La seconda parte il 1 novembre giorno di Ognissanti




28 ottobre 2020 L’Omicidio di Raffaele Leonetti. Un'altra premessa
I toponimi. I luoghi com’erano allora e come sono adesso.

Tutti possono andare a leggere le informazioni contenute nel mio racconto del prossimo 1 novembre. Basta andare all’Archivio di Stato. Registrarsi, adempiere alle ovvie formalità burocratiche (oggi complicate dal Coronavirus); richiedere con apposito modulo (che contiene le proprie generalità) la Busta 930 del Fondo Gran Corte Criminale.
I processi penali sono fonti primarie con cui si scrive la Storia. Ogni storico “interpreta” le fonti e coglie; da testimonianze, certificati, toponimi eccetera; gli spunti del proprio racconto storico. Ognuno potrà rileggere questo processo e verificare (anche tra cento anni) la storia dell’omicidio di Raffaele Leonetti. Non solo. Potrà aggiungere cose a me sfuggite o ritenute poco importanti o altri particolari da altre fonti documentarie. Io stesso mi sono accorto rileggendo la fonte primaria che ho commesso qualche inesattezza.
Quasi come un esperimento scientifico.
Insieme alla storia mostrerò anche le foto dei luoghi dove si svolsero gli eventi che racconto per sottolineare l’importanza del paesaggio come inteso dalla nostra Costituzione. Ovvero l’importanza della memoria e dei luoghi dove le persone hanno vissuto. In questo caso i vicoli di Serra (detto “u Casale”) da dove scese un’orda di 40 briganti per dare la caccia al povero Raffaele Leonetti; la località oggi detta “Santa Maria”, dove abitava, e i luoghi attraversati per fuggire e poi nascondersi: il convento di San Francesco di Paola e la valle che da Serra, sotto la chiesa di San Donato, arriva fino al fiume Cardone detta prima Redicuzza e, più sotto, “Pitãnnu”.
Il rispetto dei luoghi della loro forma e l’attenzione che dobbiamo al paesaggio parte proprio dallo stesso rispetto della nostra memoria e delle nostre radici. Vedrete come anche ciascuno di noi, di questo gruppo, in un modo o nell’altro trova in questo racconto uno spiraglio della propria storia personale. La magia di Facebook ha già attivato in alcuni post l’effetto sperato. E per chi casalino non è trova conferma della vitalità di questi luoghi che non sono altro che la loro bellezza. Mi rivolgo al bravo
Mario Corigliano
che ha proprio quella sensibilità di cogliere con le sue foto i luoghi dei centri storici dei casali cosentini (Manco, Destro, “supra o sutta”, non importa) con tutto il loro vissuto.
Un’osservazione importante su due toponimi. Il gruppo di case che sorge accanto alla chiesa di Santa Maria sorgeva in Contrada Monte Oliveto, ovvero, il nome della contrada è Monte Oliveto, Le testimonianze del racconto lo ribadiscono in continuazione. Probabilmente il toponimo deriva da un cognome di qualche antico proprietario di quella località. In effetti il cognome Oliverio (variante di Oliveto) più che presente a Pedace fin dal 1200 può essere l’origine del toponimo. E poi c’è un particolare che mi coinvolge nella storia ancora di più. Mia nonna paterna abitava in cima a quel gruppo di case, proprio sulla pietra che la credenza popolare, apparentemente assurda e un po’ blasfema, dice che ci sia il segno del vomito della Madonna. Da atti notarili personali si apprende che quella casa passò di proprietà dei miei avi (anche loro Leonetti e Lionetta) da una famiglia di cognome Oliveti. Con buona pace di chi sostiene, ancora, che Santa Maria di Monte Oliveto derivi dalla presenza o dal passaggio dei monaci dell’ordine degli Olivetani.
Lo so! Tutto diventa contorto e si allontana dal fatto dell’omicidio. Ma è proprio il contorno, lo sfondo, il paesaggio che mi preme far conoscere e l’efferatezza e il raccapriccio diventano … contorno o la scusa per dire cose, per me, più importanti.

Nessuna descrizione della foto disponibile.



... e questo è il racconto
1 novembre 2020 - L’Omicidio di Raffaele Leonetti il 1 novembre, giorno di Ognissanti, del 1848
Esattamente 172 anni fa, il 1 novembre del 1848, mercoledì, giorno di Ognissanti, i fuoriusciti di Serra e di Pedace si diedero appuntamento in Piazza intorno alle 11, davanti la chiesa di San Donato. Una foto degli inizi del 900 pubblicata su fb da 
Claudio Rizzuti
 (ma è anche sulla copertina del libro di 
Dario Cozza
) ci mostra come doveva essere la piazza allora.
Le bande di Nicola Rende e di Raffaele Cava erano al completo, probabilmente molti briganti che avevano dato una mano contro i patrioti nella primavera del ’48 erano liberi o comunque liberi di colpire le persone con le quali avevano un contenzioso e vicine alle idee rivoluzionarie. E a Serra il ’48 fu davvero spettacolare: patrioti e reazionari filoborbonici furono protagonisti di quel lontano maggio. Alla testa delle fazioni in lotta c’erano il patriota GiovanBattista Adami e dall’altra parte il reazionario Don Bartolo D’Ambrosio. Nemmeno la penna del miglior Guareschi avrebbe immaginato quel che avvenne tra Duonnu Vartulu (Don Camillo) e l’Adami (l’on Peppone). Ma è un’altra storia, anche se finì pochi giorni prima di questa. Racconteremo, racconteremo.
Per il numero di briganti, non meno di 40, tutti vestiti in nero e armati fino ai denti, sembrava fosse un giorno di festa. Il più agitato e ansioso era Raffaele Grande libero dopo un breve periodo di galera scontata per il furto dei maiali di Don Michele Leonetti (non galline come detto in precedenza, me ne scuso) e anche per il rapimento del cugino Giovanni Grande di Pedace. Sbraitava e bestemmiava contro Raffaele Leonetti che per l’ennesima volta aveva testimoniato in tribunale contro di lui.
I capi decisero la strategia: Raffaele Cava e Raffaele Grande sarebbero andati direttamente a casa di Raffaele Leonetti, sopra la chiesa di Santa Maria (vedi foto) alcuni si sarebbero messi sulla strada di sotto per impedire che scappasse verso Pedace. Nicola Rende con Leopoldo Cava e Daniele Venneri scesero subito dalla strada dietro la chiesa che porta direttamente alla chiesa di San Leonardo (un tempo, si vede bene dalla foto, questa strada, col suo strano nome - u Pìsciaru - costeggiava la chiesa di San Donato; oggi è un marciapiede). Il resto della banda si sarebbe sparpagliata nella valle Redicuzza fino a Pitãnnu e lungo le strade (certamente allora poco più che sentieri, oggi scomparsi) che portano verso la chiesa di San Leonardo e più in basso verso il convento di San Francesco. Un brigante fu mandato nelle Manche dove oggi c’è la fontana di Scigafresa, sulla vicina montagna di fronte, per osservare l’eventuale fuga di Raffaele Leonetti e comunicarla a tutti gli altri. Ce lo dice la denuncia del figlio al giudice Ferrari:
… persona che stava nelle manche dirimpetto al Monasterio …
I briganti scesero verso quella che oggi si chiama “Via delle Veneri” (chissà perché!) e che tutti a Serra chiamano “u Casale”. Fatte poche decine di metri il gruppo si divise ancora e i due Raffaele presero la prima o la seconda stradina a destra (da ragazzino erano le due stradine che mi portavano dalla casa di mia nonna, in cima allu Casale, fino a Pedace, dove abitavo, e viceversa) che conduceva a Santa Maria, il resto del gruppo andò dritto. La strada fa una stretta curva a sinistra e altre tre traverse portano sulla valle sottostante. I briganti presero posizione dietro alberi di castagno (così dice un testimone, oggi i castagni sono del tutto inesistenti) o nei punti più esposti per meglio prender la mira con i fucili. Come una “moderna” caccia al cinghiale.
A quell’ora Raffaele Leonetti (fu Bruno) era sulla soglia di casa con il figlio 34 enne Luigi, in casa la moglie, Maria Oliverio, stava iniziando a preparare qualcosa per mangiare. Gli altri figli erano: Ferdinando nato nel 1819, Maria nel 1820, Angela nel 1823, i gemelli Fedele e Antonio nel 1825 e Matteo nel 1827 (dal libro di Dario Cozza, Famiglie dei Casali del Manco – Pedace).
Raffaele stava per andare verso il basso quando una voce concitata gli intima: “ferma, ferma”, era Raffaele Grande che sopraggiungeva assieme al Cava armati di tutto punto e coi duebotte pronti a far fuoco.
Il Leonetti capisce immediatamente e inizia una precipitosa fuga verso la via San Leonardo. I due briganti fanno subito fuoco senza colpirlo. Poi Grande temendo la reazione del figlio gli punta il duebotte in faccia intimandogli di star fermo mentre Raffaele Cava rincorre il fuggitivo. La madre è terrorizzata appena può scappa di casa e incontra l’amica Caterina Ferraro fu Saverio di anni cinquanta che così testimonia di quel momento:
“La mattina del primo novembre 1848 stando io in Contrada Monte Oliveto ove parimenti è sita la casa di Raffaele Leonetti, ma però lontana, intesi lo scoppio di due fucilate, e mi portai in su la via per vedere e mi venne innanzi volta in lutto e piangente Maria Oliverio, e mi disse che la comitiva di Nicola Rende inseguiva il consorte Raffaele Leonetti, un poco innanzi avea sparato per dargli la morte; per salvare la Oliverio ebbi cura di farla risalire in direzione della propria casa e in quel mentre conobbi Raffaele Grande malfattore armato di schioppo…”
Raffaele Leonetti mentre corre perde una scarpa, corre lo stesso, si dirige subito verso il Convento dei cappuccini oggi convento di San Francesco di Paola. Sperando di trovare accoglienza. Raffaele Cava viene raggiunto dal Grande che si era attardato con il figlio ed entrambi gli sono quasi addosso.
Così racconta quel momento Carmine Curcio, fu Lorenzo il primo a essere indicato dal figlio di Raffaele quale testimone e il primo a dare la sua versione:
“La casa dove io abito è sita in Contrada Monte Oliveto del comune di Pedace allorché stando dalla finestra vidi circa cinquanta briganti dei quali in quel giorno era capo Nicola Rende, erano sparpagliati in Contrada Redicuzza, vidi che parte dei malfattori si tenne ridossata dietro gli alberi, parte di questi si avviò ad inseguire un qualche d'uno, subitamente intesi che Raffaele Leonetti da Pedace era l'uomo inseguito, e gli tenner piede per la via San Leonardo; alla strada Pitanni nella direzione del convento dei monaci cappuccini”
Raffele Leonetti si accorge che la valle è piena di briganti, li vede spuntare da ogni angolo, il terrore aumenta. Prende sentieri secondari, salta recinti e muri di pietre, perde anche il cappello. Poi salta un muro ed entra nell’orto/giardino del convento. Vede che la porta che dal giardino porta sul retro del convento è aperta, una flebile speranza. Riesce a entrare nel convento. Fa in tempo a chiudere la porta e a mettere anche la sbarra da dietro. Incontra Padre Emanuele (al secolo Domenico Stillo) e col terrore dipinto sul viso gli chiede di nasconderlo, lo rimanda da Frà Giuseppe da Pedace (al secolo Carmine Scarcello fu Michele, di anni 50) che conosce meglio il convento. Così la testimonianza di frate Emanuele:
“Nel primo di novembre del 1848 verso le ore 11 del mattino intesi due colpi di fucile e quindi un forte numero di voci e di parole in via Monte Oliveto poco dopo, colla morte sul viso e trepidante di paura, giunse da me nel convento Raffaele Leonetti da Pedace; lo sventurato chiedeva di essere nascosto temendo per la sua vita e chiedeva di rifugiarsi nel tempio del Signore e siccome io ero straniero rimandai il Leonetti a Fra Giuseppe da Pedace; però gli astanti stringevano e Leonetti e non riuscì, così corse a nascondersi nella Chiesa…”
Non fa in tempo a rivolgersi a Fra Giuseppe, corre a perdifiato, vuole nascondersi in chiesa. Lì non oseranno entrare, pensa. Attraversa il chiosco ma la porta principale è chiusa. Ricorda che da ragazzo per passare nella Lãmia, accanto alla chiesa, c’era un cunicolo angusto e stretto. Torna sui suoi passi e a destra della porta del giardino si scende in basso verso quel cunicolo. Esce nella Lãmia (è il nome della lunga galleria con la volta a botte posta sotto il convento e accanto alla chiesa), in fondo, vede altri briganti appostati alla Petrara nel vallone di Pitãnnu proprio di fronte il grande varco che forma la Lãmia sotto il convento. La speranza diminuisce. Esce dalla parte opposta della Lãmia col terrore di incontrare altri briganti striscia lungo il breve tratto di muro della chiesa ed entra nel tempio: è disperato, qualsiasi nascondiglio gli sembra palese. Fino a che vede la statua della Madonna dell’Addolorata, patrona di Pedace, e si affida a lei, sotto il suo altare c’è un piccolo nascondiglio, prova a entrarci, sì è stretto, ma ci sta. Ha il cuore in gola, capisce di avere qualche secondo di tempo, dice una preghiera alla Madonna, poi cerca di calmarsi e dopo un po’ si rannicchia e, continuando a pregare, si nasconde in attesa che tutto finisca.
I briganti temono di aver perduto la preda, da quanti erano sparpagliati, adesso sono tutti diretti verso il convento, come uno sciame di vespe che cerca di entrare nel nido.
Anche loro entrano nel giardino e trovano la porta chiusa. Bussano forte e dopo poco ancora più forte, la sbarra impedisce l’entrata, sparano e rompono la porta, ma la barra regge e non fa passare i briganti, in quel momento arriva Fra’ Giuseppe da Pedace che apre stupito, non si era accorto della presenza di Raffaele Leonetti.
Ecco la sua terribile esperienza raccolta dalla sua testimonianza:
“la mattina del primo novembre 1848, festività di Ognissanti i Padri Predicatori del Convento erano usciti per celebrare delle messe in diverse cappelle e soli oravano io e Fra Giuseppe da Rogliano, era occupato a cucinare una minestra di carote col coltello e avea lasciato la porta del giardino aperta, tutto ad un tempo intesi che la porta si menava a terra sotto il grido di fortissime scosse ed accorsi e con forte meraviglia trovai la porta scassata; restai sorpreso dell'evento non sapendo attribuirne l'origine però tolsi la sbarra all’ingresso della porta e mi vidi davanti diciannove briganti all’incirca armati di schioppi pistole e coltella, chiesero dov’era Raffaele Leonetti, ed io risposi di non averlo veduto affatto, i malfattori mi assicurarono che le mie parole eran false e che per averlo esitato la porta del giardino si era trovata chiusa con sbarra, io ritornai di nuovo sulle mie innocenze e per farli sinceri dissi loro che avesser girate le celle del Monastero ed i malfattori il fecero ponendo in soqquadro ogni cosa e però riuscirono infruttuose le indagini; accrebbero allora i briganti l’ira e sguainati i loro lunghissimi e larghi coltelli cominciarono col rovescio delle lame a percuotermi in tutto il corpo in guisa che ne doloro la vita per giorni 6 moltissimo più atroce pria mi avvinse per una mano il collo strattonandomi, quindi mi diresse il coltello di punta alla pancia per uccidermi e la premura della propria vita mi agitò tanto che mi slancia a lontananza, senza riportarmi offesa(?) finalmente convinti che nel convento non vi era persona cominciarono a rovistare la chiesa …”
Erano certi che non fosse scappato dal convento le vedette dall’altra parte della montagna lo avevano visto entrare e non uscire. Infatti Fra Giuseppe da Rogliano, al secolo Nicola Altomare del fu Angelo di anni 36 laico di Rogliano, così si esprime da testimone oculare raccontando altri particolari sul numero dei briganti e sulla preparazione accurata dell’agguato
“la mattina della festività di Ognissanti ero nel convento unitamente a Fra Giuseppe da Pedace allorchè venne bussata a gravi colpi di un carico di schioppo la porta del giardino e noi restammo attoniti perché l’avevamo lasciata aperta; fra Giuseppe da Pedace corse alla porta del giardino ed io mi portai ad un finestrone del convento per mirare cosa fosse, e vidi negli alberi di castagno vicini ridossati moltissimi briganti, gli arrivati nel convento chiesero agli altri in agguato se avessero veduto l’uomo di cui andavano in traccia e questi risposero che non era fuggito e perciò cercassero che era nel convento; dopo un istante si raccolsero tutti a unirsi il convento e sorpassavano il numero di quaranta, aspramente persuasero Fra Giuseppe da Pedace rovistarono e posero a soqquadro i cenobi dei frati e quindi vennero in chiesa , ed io pure in mezzo di loro non avendomene potuto dividere per loro comando,
Mostro nelle foto allegate alcuni dei coltelli con cui fu “battuto” Fra Giuseppe. Sono stati esposti nell’agosto del 2019, a Serra Pedace, in occasione della festa di San Donato e alcuni di questi si possono vedere al museo di Pratopiano. Appartengono alla nostra (pedacese e serritana) lunga tradizione di coltellai. Ricordata da Vincenzo Padula sui suoi libri più famosi. Tradizione andata quasi del tutto dispersa. Fa eccezione l’amico coltellaio 
Salvatore Tarantino
 . Aspettiamo sempre che riprenda quei disegni e quelle forme oltre a quelle della tradizione giapponese.
Torno all’epilogo della storia. Fra Giuseppe dice anche alcuni nomi dei briganti.
“Dei briganti conobbi Nicola Rende, Leopoldo Cava, Raffaele Cava, Domenico Cava, Raffaele Grande, Daniele Venneri, Pietro Michele Pisano, Alfonso Morrone. Il malfattore che mi strapazzò e cercò ferirmi di coltello era Raffaele Grande, coloro che mi percossero con il rovescio dei coltelli furono Leopoldo e Raffaele Cava.”
I briganti dopo l’assalto al convento passarono alla chiesa. Violarono senza indugi la sacralità del tempio e si misero a rovistare ogni angolo, non passò molto che individuarono il nascondiglio del povero Raffaele Leonetti, gridando contenti a quelli rimasti fuori di averlo trovato. Lo presero da sotto la statua della Madonna dell’Addolorata e lo strattonarono per portarlo fuori. Inutili le sue resistenze. Uscirono, là, a pochi passi dalla porta della chiesa lo attendeva Raffaele Grande. Il povero Raffaele Leonetti si aggrappò alla canna del fucile del brigante temendo che da lì partisse il colpo mortale, tentando disperatamente di impedire il tragico epilogo. Così la testimonianza di Fra Giuseppe da Rogliano
“… ed io pure in mezzo di loro non avendomene potuto dividere per loro comando, ov’è la statua dell’Addolorata a l’altare giace sotto posto un vuoto e quivi il Leonetti si era accosciato, ne venne tirato fuori senza una scarpa, privo di cappello e tutto bruttato di polvere strascicato per dentro la chiesa a viva forza i malfattori il portarono a lontananza di pochi passi dalla porta del tempio a Leonetti si fece innanzi Raffaele Grande del comune di Pedace Serra e gli rinfacciò essere stato tanto linguardo d’avergli più volte apposto a delitto per aver rubato i maiali di Don Michele Leonetti e per tal motivo ne riportava la morte.
A questa motivazione la testimone Caterina Ferraro aggiunge
“… altri a ciò dicevasi che una comitiva avea sequestrato Giovanni Grande, e che in essa vi era intravvenuto Raffaele Grande e Raffaele Leonetti avea osato dire pubblicamente che Grande era stato tanto efferato fino a prender parte nel sequestro di un proprio cugino …”
Un atteggiamento da vero giudice e boia assieme. Nessuna concorrenza col potere dello Stato. Nessuno cercò di impedire l’esecuzione e il successivo raccapriccio. Grande fa uno scatto e si libera di quella presa fa due passi indietro e spara nella schiena in direzione del cuore. La vittima colpita a morte stramazza a terra, subito dopo, come a ribadire chi fosse il capo e dispensatore di morte, interviene Nicola Rende che dà il colpo di grazia alla tempia di Raffaele Leonetti. Continua la testimonianza di fra Giuseppe da Rogliano
Raffaele Leonetti vide l’orror della morte, stringeva con le mani la canna dello schioppo di Grande per impedire lo scoppio, Grande finalmente si sciolse dalle mani del Leonetti e resa l’arma disponibile diede due soli passi e quindi appuntò lo schioppo alle spalle del Leonetti e gli scaricò contro quell’arma micidiale e Leonetti rovesciò prontamente a terra ferito a morte; Nicola Rende gli scaricò un altro colpo di fucile nella testa …”
Ma non basta, i briganti fanno a gara per chi dovesse tagliargli la testa, ma Raffaele Grande si impose e impedì.
Poi coi piedi zompò due volte sulla faccia del testimone di giustizia Raffaele Leonetti.
La perizia dei medici legali freddamente descrivono l’abominio.
per chi volesse leggere integralmente il processo