martedì 3 novembre 2020

 Questi i due post di fb precedenti il racconto vero e proprio 

8 ottobre 2020 - L’omicidio di Raffaele Leonetti di Santa Maria – Prima parte
Oggi li chiamiamo testimoni di giustizia e finalmente hanno il posto che meritano nel contesto di una comunità. Sono i testimoni casuali di delitti o violazioni di legge che interrogati da un rappresentante dello Stato non tacciono e, semplicemente, dicono quello che sanno e che hanno visto. Cittadini con comuni doveri, diritti e responsabilità che a seconda delle circostanze diventano eroi, perseguitati, martiri.
Questa storia di briganti avviene il giorno di Ognissanti, il 1 novembre del 1848 in via Monte Oliveto tra la chiesa di Santa Maria, la chiesa di San Leonardo e il convento di San Francesco di Paola che allora ospitava i monaci Cappuccini.
Qualche anno prima a Serra Pedace il fuoriuscito, brigante della banda di Nicola Rende, Raffaele Grande aveva rubato delle galline a Don Michele Leonetti, noto prete schierato politicamente con i patrioti.
Apparteneva a uno dei tre ceppi di famiglie che portava il cognome Leonetti e che sostennero l’arrivo dei francesi. Non sappiamo se erano legate da vincoli di parentela: una era la famiglia di Ludovico Leonetti, patriota, carbonaro della prima ora legato a Vincenzo Federici, alias Capobianco di Altilia, primo martire del Risorgimento. Un’altra famiglia era quella maggiormente coinvolta nel Sacco di Pedace, proveniva da Iotta, i numerosi fratelli, una volta trasferitisi a Serra dopo il terremoto/frana del 1782, che distrusse Iotta, divennero la famiglia egemone a Serra. La terza era quella di Don Michele con il fratello Domenico (notaio), la sorella Maria (che sposa un Valente sindaco di Pedace di allora) e il padre Daniele; quest’ultimo morì, non sappiamo in quali circostanze, a San Nicola Dell’Alto luogo dove il celebre capomassa e brigante Giacomo Pisano alias Francatrippa aveva avuto per un periodo il suo quartier generale.
Ritorniamo al furto delle galline. Il signor Raffaele Leonetti è evidentemente testimone del furto e denuncia Raffaele Grande, brigante di punta della banda brigantesca del terribile Nicola Rende. Raffaele Grande sconta la galera ed esce di prigione. Probabilmente i moti del 1848 sono appena terminati e l’illegalità diffusa che li accompagnava regnava sovrana. Il giorno di Ognissanti l’intera banda di Nicola Rende consuma la vendetta contro il povero testimone di giustizia Raffaele Leonetti.
Dalla piazza di Serra parte la spedizione punitiva. 40 briganti, come raccontano tutti i testimoni, guidati da Raffaele Grande, Nicola Rende e Raffaele Cava, altro brigante di Pedace, parte verso via Monte Oliveto in direzione della casa di Raffaele Leonetti che abitava probabilmente una delle case lungo quel vicolo che attualmente collega la strada che da Serra conduce a Pedace per Santa Maria.
La seconda parte il 1 novembre giorno di Ognissanti




28 ottobre 2020 L’Omicidio di Raffaele Leonetti. Un'altra premessa
I toponimi. I luoghi com’erano allora e come sono adesso.

Tutti possono andare a leggere le informazioni contenute nel mio racconto del prossimo 1 novembre. Basta andare all’Archivio di Stato. Registrarsi, adempiere alle ovvie formalità burocratiche (oggi complicate dal Coronavirus); richiedere con apposito modulo (che contiene le proprie generalità) la Busta 930 del Fondo Gran Corte Criminale.
I processi penali sono fonti primarie con cui si scrive la Storia. Ogni storico “interpreta” le fonti e coglie; da testimonianze, certificati, toponimi eccetera; gli spunti del proprio racconto storico. Ognuno potrà rileggere questo processo e verificare (anche tra cento anni) la storia dell’omicidio di Raffaele Leonetti. Non solo. Potrà aggiungere cose a me sfuggite o ritenute poco importanti o altri particolari da altre fonti documentarie. Io stesso mi sono accorto rileggendo la fonte primaria che ho commesso qualche inesattezza.
Quasi come un esperimento scientifico.
Insieme alla storia mostrerò anche le foto dei luoghi dove si svolsero gli eventi che racconto per sottolineare l’importanza del paesaggio come inteso dalla nostra Costituzione. Ovvero l’importanza della memoria e dei luoghi dove le persone hanno vissuto. In questo caso i vicoli di Serra (detto “u Casale”) da dove scese un’orda di 40 briganti per dare la caccia al povero Raffaele Leonetti; la località oggi detta “Santa Maria”, dove abitava, e i luoghi attraversati per fuggire e poi nascondersi: il convento di San Francesco di Paola e la valle che da Serra, sotto la chiesa di San Donato, arriva fino al fiume Cardone detta prima Redicuzza e, più sotto, “Pitãnnu”.
Il rispetto dei luoghi della loro forma e l’attenzione che dobbiamo al paesaggio parte proprio dallo stesso rispetto della nostra memoria e delle nostre radici. Vedrete come anche ciascuno di noi, di questo gruppo, in un modo o nell’altro trova in questo racconto uno spiraglio della propria storia personale. La magia di Facebook ha già attivato in alcuni post l’effetto sperato. E per chi casalino non è trova conferma della vitalità di questi luoghi che non sono altro che la loro bellezza. Mi rivolgo al bravo
Mario Corigliano
che ha proprio quella sensibilità di cogliere con le sue foto i luoghi dei centri storici dei casali cosentini (Manco, Destro, “supra o sutta”, non importa) con tutto il loro vissuto.
Un’osservazione importante su due toponimi. Il gruppo di case che sorge accanto alla chiesa di Santa Maria sorgeva in Contrada Monte Oliveto, ovvero, il nome della contrada è Monte Oliveto, Le testimonianze del racconto lo ribadiscono in continuazione. Probabilmente il toponimo deriva da un cognome di qualche antico proprietario di quella località. In effetti il cognome Oliverio (variante di Oliveto) più che presente a Pedace fin dal 1200 può essere l’origine del toponimo. E poi c’è un particolare che mi coinvolge nella storia ancora di più. Mia nonna paterna abitava in cima a quel gruppo di case, proprio sulla pietra che la credenza popolare, apparentemente assurda e un po’ blasfema, dice che ci sia il segno del vomito della Madonna. Da atti notarili personali si apprende che quella casa passò di proprietà dei miei avi (anche loro Leonetti e Lionetta) da una famiglia di cognome Oliveti. Con buona pace di chi sostiene, ancora, che Santa Maria di Monte Oliveto derivi dalla presenza o dal passaggio dei monaci dell’ordine degli Olivetani.
Lo so! Tutto diventa contorto e si allontana dal fatto dell’omicidio. Ma è proprio il contorno, lo sfondo, il paesaggio che mi preme far conoscere e l’efferatezza e il raccapriccio diventano … contorno o la scusa per dire cose, per me, più importanti.

Nessuna descrizione della foto disponibile.



... e questo è il racconto
1 novembre 2020 - L’Omicidio di Raffaele Leonetti il 1 novembre, giorno di Ognissanti, del 1848
Esattamente 172 anni fa, il 1 novembre del 1848, mercoledì, giorno di Ognissanti, i fuoriusciti di Serra e di Pedace si diedero appuntamento in Piazza intorno alle 11, davanti la chiesa di San Donato. Una foto degli inizi del 900 pubblicata su fb da 
Claudio Rizzuti
 (ma è anche sulla copertina del libro di 
Dario Cozza
) ci mostra come doveva essere la piazza allora.
Le bande di Nicola Rende e di Raffaele Cava erano al completo, probabilmente molti briganti che avevano dato una mano contro i patrioti nella primavera del ’48 erano liberi o comunque liberi di colpire le persone con le quali avevano un contenzioso e vicine alle idee rivoluzionarie. E a Serra il ’48 fu davvero spettacolare: patrioti e reazionari filoborbonici furono protagonisti di quel lontano maggio. Alla testa delle fazioni in lotta c’erano il patriota GiovanBattista Adami e dall’altra parte il reazionario Don Bartolo D’Ambrosio. Nemmeno la penna del miglior Guareschi avrebbe immaginato quel che avvenne tra Duonnu Vartulu (Don Camillo) e l’Adami (l’on Peppone). Ma è un’altra storia, anche se finì pochi giorni prima di questa. Racconteremo, racconteremo.
Per il numero di briganti, non meno di 40, tutti vestiti in nero e armati fino ai denti, sembrava fosse un giorno di festa. Il più agitato e ansioso era Raffaele Grande libero dopo un breve periodo di galera scontata per il furto dei maiali di Don Michele Leonetti (non galline come detto in precedenza, me ne scuso) e anche per il rapimento del cugino Giovanni Grande di Pedace. Sbraitava e bestemmiava contro Raffaele Leonetti che per l’ennesima volta aveva testimoniato in tribunale contro di lui.
I capi decisero la strategia: Raffaele Cava e Raffaele Grande sarebbero andati direttamente a casa di Raffaele Leonetti, sopra la chiesa di Santa Maria (vedi foto) alcuni si sarebbero messi sulla strada di sotto per impedire che scappasse verso Pedace. Nicola Rende con Leopoldo Cava e Daniele Venneri scesero subito dalla strada dietro la chiesa che porta direttamente alla chiesa di San Leonardo (un tempo, si vede bene dalla foto, questa strada, col suo strano nome - u Pìsciaru - costeggiava la chiesa di San Donato; oggi è un marciapiede). Il resto della banda si sarebbe sparpagliata nella valle Redicuzza fino a Pitãnnu e lungo le strade (certamente allora poco più che sentieri, oggi scomparsi) che portano verso la chiesa di San Leonardo e più in basso verso il convento di San Francesco. Un brigante fu mandato nelle Manche dove oggi c’è la fontana di Scigafresa, sulla vicina montagna di fronte, per osservare l’eventuale fuga di Raffaele Leonetti e comunicarla a tutti gli altri. Ce lo dice la denuncia del figlio al giudice Ferrari:
… persona che stava nelle manche dirimpetto al Monasterio …
I briganti scesero verso quella che oggi si chiama “Via delle Veneri” (chissà perché!) e che tutti a Serra chiamano “u Casale”. Fatte poche decine di metri il gruppo si divise ancora e i due Raffaele presero la prima o la seconda stradina a destra (da ragazzino erano le due stradine che mi portavano dalla casa di mia nonna, in cima allu Casale, fino a Pedace, dove abitavo, e viceversa) che conduceva a Santa Maria, il resto del gruppo andò dritto. La strada fa una stretta curva a sinistra e altre tre traverse portano sulla valle sottostante. I briganti presero posizione dietro alberi di castagno (così dice un testimone, oggi i castagni sono del tutto inesistenti) o nei punti più esposti per meglio prender la mira con i fucili. Come una “moderna” caccia al cinghiale.
A quell’ora Raffaele Leonetti (fu Bruno) era sulla soglia di casa con il figlio 34 enne Luigi, in casa la moglie, Maria Oliverio, stava iniziando a preparare qualcosa per mangiare. Gli altri figli erano: Ferdinando nato nel 1819, Maria nel 1820, Angela nel 1823, i gemelli Fedele e Antonio nel 1825 e Matteo nel 1827 (dal libro di Dario Cozza, Famiglie dei Casali del Manco – Pedace).
Raffaele stava per andare verso il basso quando una voce concitata gli intima: “ferma, ferma”, era Raffaele Grande che sopraggiungeva assieme al Cava armati di tutto punto e coi duebotte pronti a far fuoco.
Il Leonetti capisce immediatamente e inizia una precipitosa fuga verso la via San Leonardo. I due briganti fanno subito fuoco senza colpirlo. Poi Grande temendo la reazione del figlio gli punta il duebotte in faccia intimandogli di star fermo mentre Raffaele Cava rincorre il fuggitivo. La madre è terrorizzata appena può scappa di casa e incontra l’amica Caterina Ferraro fu Saverio di anni cinquanta che così testimonia di quel momento:
“La mattina del primo novembre 1848 stando io in Contrada Monte Oliveto ove parimenti è sita la casa di Raffaele Leonetti, ma però lontana, intesi lo scoppio di due fucilate, e mi portai in su la via per vedere e mi venne innanzi volta in lutto e piangente Maria Oliverio, e mi disse che la comitiva di Nicola Rende inseguiva il consorte Raffaele Leonetti, un poco innanzi avea sparato per dargli la morte; per salvare la Oliverio ebbi cura di farla risalire in direzione della propria casa e in quel mentre conobbi Raffaele Grande malfattore armato di schioppo…”
Raffaele Leonetti mentre corre perde una scarpa, corre lo stesso, si dirige subito verso il Convento dei cappuccini oggi convento di San Francesco di Paola. Sperando di trovare accoglienza. Raffaele Cava viene raggiunto dal Grande che si era attardato con il figlio ed entrambi gli sono quasi addosso.
Così racconta quel momento Carmine Curcio, fu Lorenzo il primo a essere indicato dal figlio di Raffaele quale testimone e il primo a dare la sua versione:
“La casa dove io abito è sita in Contrada Monte Oliveto del comune di Pedace allorché stando dalla finestra vidi circa cinquanta briganti dei quali in quel giorno era capo Nicola Rende, erano sparpagliati in Contrada Redicuzza, vidi che parte dei malfattori si tenne ridossata dietro gli alberi, parte di questi si avviò ad inseguire un qualche d'uno, subitamente intesi che Raffaele Leonetti da Pedace era l'uomo inseguito, e gli tenner piede per la via San Leonardo; alla strada Pitanni nella direzione del convento dei monaci cappuccini”
Raffele Leonetti si accorge che la valle è piena di briganti, li vede spuntare da ogni angolo, il terrore aumenta. Prende sentieri secondari, salta recinti e muri di pietre, perde anche il cappello. Poi salta un muro ed entra nell’orto/giardino del convento. Vede che la porta che dal giardino porta sul retro del convento è aperta, una flebile speranza. Riesce a entrare nel convento. Fa in tempo a chiudere la porta e a mettere anche la sbarra da dietro. Incontra Padre Emanuele (al secolo Domenico Stillo) e col terrore dipinto sul viso gli chiede di nasconderlo, lo rimanda da Frà Giuseppe da Pedace (al secolo Carmine Scarcello fu Michele, di anni 50) che conosce meglio il convento. Così la testimonianza di frate Emanuele:
“Nel primo di novembre del 1848 verso le ore 11 del mattino intesi due colpi di fucile e quindi un forte numero di voci e di parole in via Monte Oliveto poco dopo, colla morte sul viso e trepidante di paura, giunse da me nel convento Raffaele Leonetti da Pedace; lo sventurato chiedeva di essere nascosto temendo per la sua vita e chiedeva di rifugiarsi nel tempio del Signore e siccome io ero straniero rimandai il Leonetti a Fra Giuseppe da Pedace; però gli astanti stringevano e Leonetti e non riuscì, così corse a nascondersi nella Chiesa…”
Non fa in tempo a rivolgersi a Fra Giuseppe, corre a perdifiato, vuole nascondersi in chiesa. Lì non oseranno entrare, pensa. Attraversa il chiosco ma la porta principale è chiusa. Ricorda che da ragazzo per passare nella Lãmia, accanto alla chiesa, c’era un cunicolo angusto e stretto. Torna sui suoi passi e a destra della porta del giardino si scende in basso verso quel cunicolo. Esce nella Lãmia (è il nome della lunga galleria con la volta a botte posta sotto il convento e accanto alla chiesa), in fondo, vede altri briganti appostati alla Petrara nel vallone di Pitãnnu proprio di fronte il grande varco che forma la Lãmia sotto il convento. La speranza diminuisce. Esce dalla parte opposta della Lãmia col terrore di incontrare altri briganti striscia lungo il breve tratto di muro della chiesa ed entra nel tempio: è disperato, qualsiasi nascondiglio gli sembra palese. Fino a che vede la statua della Madonna dell’Addolorata, patrona di Pedace, e si affida a lei, sotto il suo altare c’è un piccolo nascondiglio, prova a entrarci, sì è stretto, ma ci sta. Ha il cuore in gola, capisce di avere qualche secondo di tempo, dice una preghiera alla Madonna, poi cerca di calmarsi e dopo un po’ si rannicchia e, continuando a pregare, si nasconde in attesa che tutto finisca.
I briganti temono di aver perduto la preda, da quanti erano sparpagliati, adesso sono tutti diretti verso il convento, come uno sciame di vespe che cerca di entrare nel nido.
Anche loro entrano nel giardino e trovano la porta chiusa. Bussano forte e dopo poco ancora più forte, la sbarra impedisce l’entrata, sparano e rompono la porta, ma la barra regge e non fa passare i briganti, in quel momento arriva Fra’ Giuseppe da Pedace che apre stupito, non si era accorto della presenza di Raffaele Leonetti.
Ecco la sua terribile esperienza raccolta dalla sua testimonianza:
“la mattina del primo novembre 1848, festività di Ognissanti i Padri Predicatori del Convento erano usciti per celebrare delle messe in diverse cappelle e soli oravano io e Fra Giuseppe da Rogliano, era occupato a cucinare una minestra di carote col coltello e avea lasciato la porta del giardino aperta, tutto ad un tempo intesi che la porta si menava a terra sotto il grido di fortissime scosse ed accorsi e con forte meraviglia trovai la porta scassata; restai sorpreso dell'evento non sapendo attribuirne l'origine però tolsi la sbarra all’ingresso della porta e mi vidi davanti diciannove briganti all’incirca armati di schioppi pistole e coltella, chiesero dov’era Raffaele Leonetti, ed io risposi di non averlo veduto affatto, i malfattori mi assicurarono che le mie parole eran false e che per averlo esitato la porta del giardino si era trovata chiusa con sbarra, io ritornai di nuovo sulle mie innocenze e per farli sinceri dissi loro che avesser girate le celle del Monastero ed i malfattori il fecero ponendo in soqquadro ogni cosa e però riuscirono infruttuose le indagini; accrebbero allora i briganti l’ira e sguainati i loro lunghissimi e larghi coltelli cominciarono col rovescio delle lame a percuotermi in tutto il corpo in guisa che ne doloro la vita per giorni 6 moltissimo più atroce pria mi avvinse per una mano il collo strattonandomi, quindi mi diresse il coltello di punta alla pancia per uccidermi e la premura della propria vita mi agitò tanto che mi slancia a lontananza, senza riportarmi offesa(?) finalmente convinti che nel convento non vi era persona cominciarono a rovistare la chiesa …”
Erano certi che non fosse scappato dal convento le vedette dall’altra parte della montagna lo avevano visto entrare e non uscire. Infatti Fra Giuseppe da Rogliano, al secolo Nicola Altomare del fu Angelo di anni 36 laico di Rogliano, così si esprime da testimone oculare raccontando altri particolari sul numero dei briganti e sulla preparazione accurata dell’agguato
“la mattina della festività di Ognissanti ero nel convento unitamente a Fra Giuseppe da Pedace allorchè venne bussata a gravi colpi di un carico di schioppo la porta del giardino e noi restammo attoniti perché l’avevamo lasciata aperta; fra Giuseppe da Pedace corse alla porta del giardino ed io mi portai ad un finestrone del convento per mirare cosa fosse, e vidi negli alberi di castagno vicini ridossati moltissimi briganti, gli arrivati nel convento chiesero agli altri in agguato se avessero veduto l’uomo di cui andavano in traccia e questi risposero che non era fuggito e perciò cercassero che era nel convento; dopo un istante si raccolsero tutti a unirsi il convento e sorpassavano il numero di quaranta, aspramente persuasero Fra Giuseppe da Pedace rovistarono e posero a soqquadro i cenobi dei frati e quindi vennero in chiesa , ed io pure in mezzo di loro non avendomene potuto dividere per loro comando,
Mostro nelle foto allegate alcuni dei coltelli con cui fu “battuto” Fra Giuseppe. Sono stati esposti nell’agosto del 2019, a Serra Pedace, in occasione della festa di San Donato e alcuni di questi si possono vedere al museo di Pratopiano. Appartengono alla nostra (pedacese e serritana) lunga tradizione di coltellai. Ricordata da Vincenzo Padula sui suoi libri più famosi. Tradizione andata quasi del tutto dispersa. Fa eccezione l’amico coltellaio 
Salvatore Tarantino
 . Aspettiamo sempre che riprenda quei disegni e quelle forme oltre a quelle della tradizione giapponese.
Torno all’epilogo della storia. Fra Giuseppe dice anche alcuni nomi dei briganti.
“Dei briganti conobbi Nicola Rende, Leopoldo Cava, Raffaele Cava, Domenico Cava, Raffaele Grande, Daniele Venneri, Pietro Michele Pisano, Alfonso Morrone. Il malfattore che mi strapazzò e cercò ferirmi di coltello era Raffaele Grande, coloro che mi percossero con il rovescio dei coltelli furono Leopoldo e Raffaele Cava.”
I briganti dopo l’assalto al convento passarono alla chiesa. Violarono senza indugi la sacralità del tempio e si misero a rovistare ogni angolo, non passò molto che individuarono il nascondiglio del povero Raffaele Leonetti, gridando contenti a quelli rimasti fuori di averlo trovato. Lo presero da sotto la statua della Madonna dell’Addolorata e lo strattonarono per portarlo fuori. Inutili le sue resistenze. Uscirono, là, a pochi passi dalla porta della chiesa lo attendeva Raffaele Grande. Il povero Raffaele Leonetti si aggrappò alla canna del fucile del brigante temendo che da lì partisse il colpo mortale, tentando disperatamente di impedire il tragico epilogo. Così la testimonianza di Fra Giuseppe da Rogliano
“… ed io pure in mezzo di loro non avendomene potuto dividere per loro comando, ov’è la statua dell’Addolorata a l’altare giace sotto posto un vuoto e quivi il Leonetti si era accosciato, ne venne tirato fuori senza una scarpa, privo di cappello e tutto bruttato di polvere strascicato per dentro la chiesa a viva forza i malfattori il portarono a lontananza di pochi passi dalla porta del tempio a Leonetti si fece innanzi Raffaele Grande del comune di Pedace Serra e gli rinfacciò essere stato tanto linguardo d’avergli più volte apposto a delitto per aver rubato i maiali di Don Michele Leonetti e per tal motivo ne riportava la morte.
A questa motivazione la testimone Caterina Ferraro aggiunge
“… altri a ciò dicevasi che una comitiva avea sequestrato Giovanni Grande, e che in essa vi era intravvenuto Raffaele Grande e Raffaele Leonetti avea osato dire pubblicamente che Grande era stato tanto efferato fino a prender parte nel sequestro di un proprio cugino …”
Un atteggiamento da vero giudice e boia assieme. Nessuna concorrenza col potere dello Stato. Nessuno cercò di impedire l’esecuzione e il successivo raccapriccio. Grande fa uno scatto e si libera di quella presa fa due passi indietro e spara nella schiena in direzione del cuore. La vittima colpita a morte stramazza a terra, subito dopo, come a ribadire chi fosse il capo e dispensatore di morte, interviene Nicola Rende che dà il colpo di grazia alla tempia di Raffaele Leonetti. Continua la testimonianza di fra Giuseppe da Rogliano
Raffaele Leonetti vide l’orror della morte, stringeva con le mani la canna dello schioppo di Grande per impedire lo scoppio, Grande finalmente si sciolse dalle mani del Leonetti e resa l’arma disponibile diede due soli passi e quindi appuntò lo schioppo alle spalle del Leonetti e gli scaricò contro quell’arma micidiale e Leonetti rovesciò prontamente a terra ferito a morte; Nicola Rende gli scaricò un altro colpo di fucile nella testa …”
Ma non basta, i briganti fanno a gara per chi dovesse tagliargli la testa, ma Raffaele Grande si impose e impedì.
Poi coi piedi zompò due volte sulla faccia del testimone di giustizia Raffaele Leonetti.
La perizia dei medici legali freddamente descrivono l’abominio.
per chi volesse leggere integralmente il processo


lunedì 2 novembre 2020

Trascrizione integrale del processo 

per l'omicidio di Raffaele Leonetti


anno 1848

Provincia di Calabria Citra                  Distretto di Cosenza

Circondario di Spezzano Grande

Omicidio premeditato in persona di Raffaele Leonetti di Pedace

1 novembre 1848

Raffaele Grande di Serra

Raffaele Cava di Pedace

Nicola Rende di Spezzano Grande

ed altri

 

Fatto

Raffaele Grande del comune di Pedace-Serra, avea rubato i maiali del sacerdote Michele Leonetti dell'istesso comune.

Raffaele Leonetti osò render pubblico il reato del Grande e costui ne tolse la vendetta.

Era la festività di Ognissanti giorno di Domenica e vennero al comune di Pedace 40 malfattori: pria discesero la via Monte Oliveto e trovatovi il Leonetti a modo di belva gli donarono la caccia.

Leonetti fuggiva a tutta lena, e i malfattori gli vibrarono contro due colpi di archibugio, ma caddero a vuoto.

La vittima fuggente tolse il suo asilo sotto l'altare della SS.ma Vergine Immacolata dentro la chiesa del convento dei Cappuccini di Pedace.

I malfattori corsero a cercarne e perché credevano averla nascosta i monaci posero le mani sopra Fra Giuseppe da Pedace, il percossero col rovescio dei loro coltelli e poco mancò che non fosse morto.

Finalmente gli efferati briganti colsero la vittima sotto l'altare e ne lo trassero: Leonetti era senza una scarpa e senza cappello e tutto brattato di polvere, strascicato per la chiesa, e tratto fuori l'atrio di quella, Raffaele Grande gli tirò il primo colpo con lo schioppo ed il ferì a morte. Nicola Rende gli scaricò il secondo corpo sulla testa e Leonetti giacque cadavere.

Quei quaranta briganti gareggiavano per tagliar la testa al Leonetti, ma Grande non volle e più brutalmente dissumano, a compimento di sua atroce vendetta, zampò due volte coi piedi sul viso dello estinto; e ciò fatto, rannodati disparver per la campagna.

Dei malfattori son noti i seguenti: Nicola Rende, Leopoldo e Raffaele Cava, Pietro Michele Pisano, Domenico Cava, Raffaele Grande, Daniele Venneri ed Alfonzo Morrone.

Il Regio Giudice

Giuseppe Ferrari

 

 

L'anno milleottocento quarantotto il giorno 2 del mese di Novembre nel comune di Pedace.

Innanzi a noi Antonio Barca Supplente giudiziario del comune suddetto, assistito dal cancelliere comunale signor Matteo Barca, si è presentato Luigi Leonetti fu Raffaele di anni trenta, di professione bracciale, domiciliato in Pedace suddetto il quale ha esposto quanto segue:

Signore Ivi in verso le ore quindici d'Italia incontrai il fu mio padre si trovava innanzi l'abitazione facendo via verso il basso fu assalito da Raffaele Grande dicendo "ferma ferma", a queste voci mio padre fuggì verso il Monasterio dei Cappuccini, ed appena incominciò a fuggire li menarono due fucilate senza colpirlo. Giunto nel detto Monasterio e nascondere (?) i religiosi per impararcelo, ma siccome non l'aveano veduto entrare se ne discaricarono ma perchè i presentatori furono assicurati da persona che stava nelle manche dirimpetto al monasterio di esservi entrato, ignorando la persona così continuarono a diligenziare(?), ..... .... nella chiesa lo rinvennero lo presero e lo levarono fuori pochi passi ed immediatamente li scoppiarono due fucilate per le quali immediatamente rimase estinto.

D.  da chi si può deporre tutto ciò?

R. Da' nominati Carmine Curcio, Gabriella Scervino, Caterina Ferraro, Chiara Scarcello, ed altri che mi riserbo di aggiungere

D. Volete costituirvi parte civile e domandate la punizione dei colpevoli?

R. Non mi costituisco parte civile e domandando che siano puniti a norma di legge.

Fattogli l'avvertimento prescritto dal real decreto di 17 maggio 1830 vi si è uniformato.

Lettura e controfirma vi ha persistito e per non saper scrivere abbiamo firmato noi col solo cancelliere

Il supple3nte

Antonio Barca

Il Cancelliere

Matteo Barca

 

 

Si nominano i periti per l'esame del cadavere dott. Giacinto D'Ippolito e il Farmacista Salvatore Martire

 

Al Signor Supplente

Signore

In esecuzione dei di lei venerati ordini recatici dal suo usciere ci siamo conferiti nella parte laterale della chiesa di San Pietro, ove, dopo prestato il giuramento in sua presenza e con l'assistenza del cancelliere abbiamo osservato il cadavere dell'estinto Raffaele Leonettti del fu Bruno Antonio del comune di Pedace.

Fattelo denudare abbiamo rinvenuto quattro ferite comunicanti di figura circolari, la prima  nell'osso temporale sinistro con frattura di detto osso ed introspezione di frammenti ossei che attraversando la midolla esatto uscita nell'osso temporale destro con foratura di detto osso producendo la seconda ferita, la terza nella parte anteriore del torace sinistro e propriamente nella mammella di detta regione tra la quarta e la quinta costa vera; che passato nell'apertura della cavità perfora il pericardio ed il ventricolo destro del cuore con grande travaso di sangue nel pericardio ed in quel del petto che fratturando il condile(?) della quinta costa vera ha ferito la parte posteriore del petto producendo la quarta ferita. Le quattro ferite descritte sono state prodotte da corpo spinto d'arma da fuoco rilevanti dalla figura circolare, dall'escavo e dal colore bruno. Da tale osservazioni abbiamo uniformemente giudicato che il sopraccitato Raffaele Leonetti sia morto dalle prescritte ferite.

Ella ci ha ordinato di fornire il presente al che abbiamo adempiuto, sottoscritto di nostro proprio pugno.

Pedace due novembre 1848

Giacinto D'Ippolito

Salvatore Martire

 

 

L'anno 1849 il giorno 23 maggio in Pedace

Innanzi a noi Giuseppe Ferrari regio giudice nel circondario di Spezzano Grande assistito dal cancelliere Michelangelo Giannini previa citazione sono comparsi i seguenti infrascritti i quali fattone rimaner d’un solo ha detto chiamarsi

Carmine Curcio fu Lorenzo di anni settanta massaro di Pedace opportunamente domandato sulla specie in esame ha dichiarato

Signore la casa dove io abito è sita in Contrada Monte Oliveto del comune di Pedace allorché stando dalla finestra vidi circa cinquanta briganti dei quali in quel giorno era capo Nicola Rende, sperperati (?) per la giura (?) in Contrada Redicuzzi vidi che parte dei malfattori si tenne ridossata dietro gli alberi in parte si avviò qual ad inseguire un qualche d'uno, subitamente intesi che Raffaele Leonetti da Pedace era l'uomo inseguito, e gli tenner piede per la via San Leonardo; alla strada Pitanni a riuscire al convento dei monaci cappuccini, colà si intesero due colpi di fucile e subito si rese palese che Raffaele Leonetti avea avuto morte per mano di malfattori, nel mentre altri due colpi gli aveano vibrato precedentemente, ma però a vuoto nella Contrada Monte Oliveto.

D. Conosceste l'assembramento di malfattori: R. Non li conobbi solo per detto del paese si seppe che il capo era Nicola Rende; i cappuccini del monastero han dovuto vedere precisamente chi dei briganti uccise Leonetti.

D. Udiste mai qual fu la cagion dell'omicidio. R. Lo ignoro

Lettura non sa scrivere.

 

Successivamente si è introdotto Caterina Ferraro fu Saverio di anni cinquanta, contadina di Pedace.

Opportunamente domandato ha risposto

signore la mattina del primo novembre 1848 stando io in Contrada Monte Oliveto ove parimenti è sita la casa di Raffaele Leonetti, ma però lontana, intesi lo scoppio di due fucilate, e mi portai in su la via per vedere e mi venne innanzi volta in lutto e piangente Maria Oliverio, e mi disse che la comitiva di Nicola Rende inseguiva il consorte Raffaele Leonetti un poco innanzi avea sparato per dargli la morte; per salvare la Oliverio ebbi cura di farla risalire in direzione della propria casa e in quel mentre conobbi Raffaele Grande malfattore armato di schioppo che si dirigeva al luogo dove posteriormente si seppe ucciso il Leonetti; appena potei ritornare Oliverio nella propria casa e si udirono altri due colpi di fucile e dopo un istante si conobbe che Raffaele Leonetti era morto nella adiacenza del convento dei monaci cappuccini del comune di Pedace.

D. Per qual ragione i malfattori diedero morte al Leonetti

R. or fa molti anni Raffaele Leonetti rese deposizione in giustizia appeso di Raffaele Grande egli ne riportò la condanna ai ferri, fattosi libero dopo la pena espiata era naturalmente nemico di Leonetti, altri a ciò dicevasi che una comitiva avea sequestrato Giovanni Grande (?), e che in essa vi era intravvenuto Raffaele Grande e Raffaele Leonetti avea osato dire pubblicamente che Grande era stato tanto efferato fino a prender parte nel sequestro di un proprio cugino; Raffaele Grande venuto in ira per entrambi i motivi circa ostilmente nemico del Leonetti queste ragioni assembrarono la comitiva di Nicola Rende e Raffaele Leonetti ne ebbe la morte.

Letto non sa scrivere.

 

Chiara Scarcello fu Francesco di anni 40 contadina da Pedace domandato analogalmenteha dichiarato

Signore la mattina del primo novembre standomi davanti la porta della casa mia sita strada Monteoliveto, intesi lo scoppio di due colpi d'arma da fuoco e subito vidi che Raffaele Leonetti fuggì e lo inseguivano a tutta possa i malfattori Raffaele Grande e Raffaele Cava tenendo gli schioppi nelle mani pronti a far fuoco, presero la via che mena al convento dei PP. Cappuccini; dopo breve tempo intesi lo scoppio di due colpi in direzione del convento, spinto dal desio di conoscere, affacciata alla finestra di casa mia distinsi che i malfattori Raffaele Grande e Raffaele Cava fuggivano prendendo la campagna.

Null'altro conosco. Lettura non sa scrivere.

 

Successivamente Gabriella Scervino fu Tommaso di anni 28 contadina di Spezzano Piccolo domiciliata in Pedace, Domandata opportunamente ha risposto.

Per detto pubblico appresi che l'orda di malfattori di Nicola Rende nella festività di Ognissanti forte di numero 40 malfattori scese in Pedace e non perdonando nemmeno alla santità dei tempi ne trasse fuori Raffaele Leonetti e davanti all'atrio di quella gli diede morte a colpi di schioppo. Null'altro conosco. Non sa scrivere.

 

Il Giudice Ferrari si sposta nel convento dei cappuccini lo stesso giorno del ventitré 23 maggio 1849 per interrogare i frati del convento

P. Emanuele Da Paola , nel secolo Domenico Stillo Cappuccino di famiglia in Pedace, opportunamente domandato sull'omicidio in esame ha dichiarato.

Nel primo di novembre del 1848 con...ndo le ore 15 del mattino intesi due colpi di fucile e quindi un forte numero di voci e di parole in via Monte Oliveto poco dopo colla morte sul viso e trepidante di paura giunse da me nel convento Raffaele Leonetti da Pedace; lo sventurato chiedeva di essere nascosto temendo per la sua (?) salute egli volesse rifugiarsi nel tempio del Signore e perchè io era straniero rimandai il Leonetti a Fra Giuseppe da Pedace; però gli astanti stringevano e Leonetti corse a nascondersi nella Chiesa sotto l'altare della Vergine SS.ma Addolorata; dopo un momento sopraggiunsero sette o otto briganti armati di schioppo e chiesero del Leonetti e gli venne risposto non essere nel convento, ma fuggito altrove, a ciò dire taluni dei malfattori osservarono che essi aveva fatta la scala a prossimità del convento e non ne era uscito persona e perciò loro si mentiva, irruppero quindi dentro la Chiesa ed empiamente si posero a rovistarla e dall'altare della Vergine ne trassero fuori la vittima violando il sacro tempio e quindi rimansi la porta della chiesa il colpirono a morte con delle fucilate e io mirai il Leonetti già fatto cadavere, ignoro del tutto gli assassini i quali in un tempo uccisero e spregiarono il culto, posteriormente ho appreso  per detto dei monaci compagni e dell'intero comune che la colpevole dell'assassinio sia stata la comitiva di Nicola Rende unitamente a Raffaele Grande e Raffaele Cava. Null'altro conosco. Lettura ha sottoscritto. Frà Emanuele di Paola

 

Successivamente si è introdotto

Fra Giuseppe da Pedace, nel secolo Carmine Scarcello fu Michele, di anni 50, laico cappuccino di famiglia nel convento di Pedace. Opportunamente domandato ha dichiarato.

Signore la mattina del primo novembre 1848, festività di Ognissanti i Padri Predicatori del Convento erano usciti per celebrare delle messe in diverse cappelle  e soli oravano io e Fra Giuseppe da Rogliano, era occupato a momeggiare una minestra di carote col coltello e avea lasciato la porta del giardino aperta, tutto ad un tempo intesi che la porta si menava a terra sotto il grido di fortissime scosse ed accorsi e con forte meraviglia trovai la porta scassata; restai sorpreso dell'evento non sapendo attribuirne l'origine però tolsi la sbarra a ingresso la porta e mi vidi davanti diciannove briganti all’incirca armati di schioppi pistole e coltella, chiesero dov’era Raffaele Leonetti, ed io risposi di non averlo veduto affatto, i malfattori mi assicurarono che le mie parole eran false e che per averlo esitato la porta del giardino si era trovata chiusa con sbarra, io ritornai di nuovo sulle mie innocenze e per farli sinceri dissi loro che avesser girate le celle del Monastero ed i malfattori il fecero ponendo in soqquadro ogni cosa e però riuscirono infruttuose le indagini; accrebbero allora i briganti l’ira e sguainati i loro lunghissimi e larghi coltelli cominciarono col rovescio delle lame a percuotermi in tutto il corpoin guisa che ne doloro la vita per giorni 6 moltissimo più atroce pria mi avvinse per una mano la casolla(?) trappandomi, quindi mi diresse il coltello di punta alla pancia per uccidermi e la premura della propria vita mi agitò tanto che mi slancia a lontananza, senza riportarmi offesa(?) finalmente convinti che nel convento non vi era persona cominciarono a rovistare la chiesa e da sotto l’altare della Vergine Addolorata ne trassero Raffaele Leonetti scoppiando in accenti di gioia per averlo trovato, trascinarono il Leonetti dalla chiesa innanzi la porta del Tempio ed io vidi allorchè lo uccisero, intesi solo prima uno scoppio di un colpo di fucile e successivamente un altro e così il Leonetti fu spento. Dei briganti conobbi Nicola Rende, Leopoldo Cava, Raffaele Cava, Domenico Cava, Raffaele Grande, Daniele Venneri, Pietro Michele Pisano, Alfonso Morrone. Il malfattore che mi strapazzò e cercò ferirmi di coltello era Raffaele Grande, coloro che mi percossero con il rovescio dei coltelli furono Leopoldo e Raffaele Cava. Per pubblico detto ho saputo che Raffaele Grande sparò il primo colpo a Leonetti ed il ferì a morte ed altro colpo sulla testa collo schioppo gli vuotò contro Nicola Rende il terzo colpo non ho inteso dire chi l’avesse sparato. Il motivo dell’odio era con Raffaele Grande costui avea rubato dei maiali in danno di Don Michele Leonetti e l’ucciso non avendo saputo contener la lingua più volte avea diffamato il Grande del commesso reato, costui punto da soverchia offesa, associato a se i compagni, pria aggredì l’estinto nella propria casa in Via Monte Oliveto e quindi gli procurò la morte innanzi la chiesa del convento.

 

Successivamente Fra Giuseppe da Rogliano, al secolo Nicola Altomare del fu Angelo di anni 36 laico di Rogliano eretta casa monastica da Pedace.

Signore la mattina della festività di Ognissanti erami in fermato nel convento unitamente a Fra Giuseppe da Pedace allorchè venne bussata a gravi colpi di un carico di schioppo la porta del giardino e noi restammo attoniti perché l’avevamo lasciata aperta; fra Giuseppe da Pedace corse  alla porta del giardino ed io mi portai ad un finestrone del convento per mirare cosa fosse, e vidi negli alberi di castagno vicini ridossati moltissimi briganti, gli arrivati nel convento chiesero agli altri in agguato ad avvisare veduto l’uomo di cui andavano in traccia e questi risposero che non era fuggito e perciò ne cercassero che era nel convento; dopo un istante si raccolsero tutti a unirsi il convento e sorpassavano il numero di quaranta, aspramente persuasero Fra Giuseppe  da Pedace rovistarono e posero a soqquadro i cenobi dei frati e quindi vennero  in chiesa , ed io pure in mezzo di loro non avendomene potuto dividere per loro comando, ov’è la statua dell’Addolorata a l’altare giace sotto posto un vuoto e quivi il Leonetti si era accosciato, ne venne tirato fuori senza una scarpa, privo di cappello e tutto bruttato di polvere  strascicato per dentro la chiesa  a viva forza  i malfattori il portarono a lontananza di pochi passi dalla porta del tempio a Leonetti si fece innanzi Raffaele Grande del comune di Pedace Serra e gli rinfacciò essere stato tanto linguardo d’avergli più volte apposto a delitto per aver rubato i maiali di Don Michele Leonetti e per tal motivo ne riportava la morte.

Raffaele Leonetti ripassò dall’orror della morte  stin.. con anot le mani la canna dello schioppo di Grande che impediva lo scoppio, Grande finalmente si sciolse dalle mani del Leonetti e resa l’arma disponibile diede due soli passi e quindi appunbto lo schioppo alle spalle del Leonetti e gli scaricò contro quell’arma micidiale e Leonetti rovesciò prontamente a terra ferito a morte; Nicola Rende gli scaricò un altro colpo di fucile nella testa; l’intera masnada faceva a gara per istaccargli la testa dal busto, ma Grande l’impedì e solo co’ piedi gli zompò due volte la faccia e quindi fattasi raccolta de’ malfattori disparvero per la campagna; tra essi conobbi oltre il Grande ed il Rende , Leopoldo e Raffaele Cava, Domernico Cava e Daniele Venneri e gli altri non li distinsi per la confusione giacchè temeva anch’io d’essere ucciso.

Il 3 giugno 1849 in Spezzano Grande  testimonia il figlio del fu Raffaele Leonetti e Maria Oliverio, Luigi di anni 32 bracciale di Pedace

La mattina della festività di ognissanti stava io ed il genitore Raffaele Leonetti innanzi la porta di nostra casa in via Monte Oliveto, allorchè vedemmo apparirci dinanzi Raffaele Grande e Raffaele Cava entrambi armati di duebotte; Grande fu il primo che fece fuoco contro di mio padre con una canna del suo duebotte ed iul genitore si abbandonò a precipitosa fuga seguendo la via che guida al convento dei Cappuccini di Pedace ed in fuggire Raffaele Cava gli tirò con altra canna del suo duebotte; ciò avvenuto Grande pensò che io accorressi per salvare mio padree perciò mi pose il punto sopra e mi trattenne, nel mentre Raffaele Cava a tutt’uomo correva dietro al padre mio;corse breve tempo e i malfattori lo uccisero innanzi la chiesa del convento unitamente al Grande il quale mi lasciò subito e seguendo il cava raggiunse i compagni