La banda di Pietro Monaco aveva deciso la guerra totale ai piemontesi, dopo le azioni e il terrore sparso tra i Casali e i proprietari silani si rivolge a Scandale, sullo Jonio (luogo di transumanza delle greggi dei pastori casalini), dove, il 5 aprile 1863, tenta, invano, di rapire il barone Salvatore Drammis lasciando una trista scia di sangue e violenze prima e dopo.
Fu ucciso Rosario Ieraldi, squadrigliere di Drammis; feriti altri due squadriglieri e il figlio del barone, Nicola. Restò ucciso anche un brigante, Giovanni De Luca, alias Battaglia e un contadino di Santa Severina, Saverio De Nardo, estraneo al sequestro. Fu bruciata una pagliaia e uccisi 7 bovi. Quanche giorno prima ci furono furti, minacce al Barone Giuranna e al proprietario Barrese.
Le indagini portarono in pochi giorni all’arresto del brigante “pacifico”, Giovanni De Marco, alias Marchetta il fratello di Salvatore luogotenente della banda e braccio destro di Monaco.
Nel mese di maggio del 1863 la banda Monaco; per il tramite di un certo Michele Tucci, alias Pipello e Carmine Altomare di Rogliano (quest’ultimo torriere del proprietario Achille Mazzei); fu contattata e ospitata in una torre di proprietà dello stesso Mazzei, per rapire il giudice Nicola Nicoletti.
La famiglia Mazzei di Santo Stefano (oggi “di Rogliano”) è una nota famiglia di patrioti. Giuseppe Mazzei, padre di Achille, morì presso l’Angitola nel 1848 nei moti risorgimentali di quell’anno. Raffaele Mazzei, fratello di Achille è al centro dell’attività clandestina per organizzare l’arrivo di Garibaldi già dal 1856. Tale attività clandestina è diretta dai fratelli Vincenzo e Donato Morelli, quest’ultimo divenne Governatore della Calabria Citeriore dopo il passaggio di Garibaldi. Inoltre la famiglia è in stretto legame di parentela con la famiglia dei Parisio, una delle più importanti casate del cosentino. Antonio Parisio, cugino di Achille, è sindaco di Santo Stefano.
Achille Mazzei sa che Pietro Monaco aveva già prestato i suoi servigi alla causa dell’Unità d’Italia. Aveva anche ucciso il 15 maggio del 1862, due briganti filo borbonici Leonardo Bonaro e Pietro Santo Piluso alias Tabacchera. Ancora prima, il 13 dicembre del 1861 aveva, infatti, rapito, dietro commissione, due mugnai Marco e Domenico Spadafora. In quel rapimento Marco perse la vita. Andrea Spadafora, di Gaspare, loro parente, era uno dei capi della reazione borbonica in atto in tutto il cosentino.
Sicuri della fedeltà di Pietro Monaco veniva richiesto questo nuovo servizio.
Pietro Monaco capì che la posta era molto alta, lasciò intendere di accettare quella proposta. In realtà assieme alla moglie, sua unica confidente, decisero di fare un brutto scherzo a quelli che ritenevano, ormai, loro nemici giurati.
Il 18 giugno decisero di agire dopo aver pernottato in una torre di proprietà dello stesso Mazzei.
Sul sagrato della chiesa di Santo Stefano di Rogliano, Achille Mazzei e il cugino Antonio Parisio sostavano al fresco della sera. Anche il giudice Nicola Nicoletti doveva essere da quelle parti.
D’un tratto si udirono spari e grida disumane, la banda di Pietro Monaco al completo faceva irruzione nella piazza antistante la chiesa. Tutti scappano, la brigantessa Maria Oliverio alias Ciccilla rincorre con la sua pistola il giudice Nicoletti che forse temeva qualcosa. Achille e Antonio sono fermi in attesa degli eventi, pensano di essere al sicuro e che la banda obbedisce ai propri ordini e sono davvero sorpresi quando, improvvisamente, Ciccilla che aveva già afferrato il giudice e lo minacciava con la pistola alla tempia adesso è vicina a loro due e anche il resto della banda con al centro Pietro Monaco li ha praticamente circondati.
Poi Ciccilla lascia in pace il giudice che si allontana impaurito.
I due cugini capiscono le vere intenzioni della banda e implorano pietà, nei loro occhi si legge il terrore.
I due furono costretti a “correre volando” (una efficace espressione che Achille Mazzei e Antonio Parisio si sentirono imporre continuamente dai briganti mentre erano in fuga e ricordata con comprensibile sgomento) trascinati lontano dalla Piazza fino ai sentieri che conducevano verso Aprigliano.
Cercano di prendere una scorciatoia, ma incontrano un vaticale (mulattiere) che potrebbe indicare ai probabili inseguitori la loro direzione. Lo obbligano a seguirli poi decidono di cambiare temporaneamente strada dirigendosi a Piano Lago, lì giunti tramortiscono il mulattiere e riprendono la strada per i Casali del Mango.
Giunti sulle rive del Crati in piena notte si dissetano e riprendono il cammino per essere sui monti sopra Pietrafitta alle 12. Sempre camminando volando.
Il sequestro dura fino ai primi giorni agosto e si concluse col pagamento di un riscatto notevole forse di 20.000 ducati richiesti con un “viglietto” ritrovato presso l'Archivio di Stato di Cosenza nel processo per questo duplice rapimento:
Carissimi Mazzei e Parisio Questo è l’ultima volta che avete da me nove (novità) , del vostri fratelli si come mi era contentato con quindici mila docati e mò doveto portare venti mila per tutta la giornata di oggi per amore vostro questa sera occido il prottetto che avete mandato mulinaro e torriere e faceti il funerale dei vostri fratelli che abbiamo avuto molto pacenza si poi volete salvi in vostra casa le dovete mandare per tutta la giornata di oggi.
Non altro più che dirvi
E mi segno
Pietro Monaco con la Sua compagnia
La storia finisce qua.
Ma se qualcuno desidera approfondire e gustare i Paesaggi della Sila con occhi diversi, magari con quelli dei cugini rapiti, aggiungo una lunga memoria consegnata al Giudice che ripercorre il lungo cammino e i rifugi che per quasi due mesi furono costretti a percorrere assieme ai briganti. Un ottimo itinerario. Provate a ripercorrere su una cartina il percorso ... è divertente.
Al Sig. Regio Giudice del Mandamento di Rogliano
I Sottoscritti fan noto alla di lei autorità che la sera del 18 giugno [1863], nell’atto che tranquillamente passeggiavamo, come di consueto, nel recinto della Chiesa parrocchiale di questo paese, senza verun sospetto, a circa mezza ora di notte si son visti aggrediti da un’orda di briganti che minacciandoli nella vita se avessero proferito parola, con stili alle mani, gl’ingiungevan di correre volando. Di fatto con la celerità del fulmine abbiamo transitato la traversa della Silvicirella(?), da là transitando pochi passi della consolare ci han gittati nel fiume Calabrici: di là per dentro seminati di grano siamo usciti nella crocevia del Lago, ove ci siamo imbattuti in un trainiere il quale è stato battuto da’ briganti, obbligandolo a seguirci, fino la cosidetta Taverna del Lago, circa un miglio e mezzo, sempre sulla consolare, e ciò a solo oggetto di evitare che si fosse conosciuta la direzione che avean presi per evitare con ciò di essere inseguiti dalla Forza: da ivi lo han fatto voltare, e noi seguendo per altro poco la consolare, fra l’una e l’altra taverna, deviando a dritto ci siamo immessi in un sentiero che poscia da’ briganti abbiam conosciuto, di esser la via del Casali e transitando luoghi alpestri e disagiosi abbiamo guadato il fiume di Craticello, ove ci han fermati un poco per satattarsi(?) di acqua: di là sempre salendo siam passati vicini un fabbricato che ci han detto essere il convento di Pietrafitta, seguendo sempre il cammino perché l’incalzavano, per la fretta di prendere il desco, siamo, al far del giorno, arrivati ad un folto bosco di castagni che, ci dissero chiamarsi la Manca di Barracco tra Pietrafitta e Pedace nella parte superiore. Ivi passammo tutta la giornata del Venerdì e vedemmo un distaccamento di Reali Truppe stanziato in Serra Pedace che usciva in perlustrazione per la via della Colla della Vacca. Colà imposero la taglia del nostro riscatto nella somma di ducati 15000 e ci obbligarono a scrivere alle nostre famiglie che avessero cercato di mandare subito tale somma senza che ci fosse mancato un grano, dicendo che la parola di Pietro Monaco è parola di Re, ed assunse l’incarico di far pervenire le nostre lettere alle rispettive nostre famiglie. All’imbrunire siam partiti da quel punto e, sempre salendo, siamo arrivati dentro i fagi, continuando il cammino, ci han fatto fermare ad un punto ov’aveano di convenio , per riunirsi con una porzione della comitiva che si era staccata da noi per trovar vettovaglie; e di fatti ciò avveniva in una torre del sig. Barca di Pedace vicino Lardone del sig. Girolamo Cosentini di Aprigliano. Riuniti tutti abbiam continuato a camminare sempre per dentro il bosco, ed a circa sei ore ci han fatto fermare nel punto cosiddetto Macinello. Ivi siam fermati circa al mezzogiorno del sabato: ma vi si sarebbe passata la giornata se non fosse scassato il fucile ad uno dei briganti per la sua ignoranza nel maneggio delle armi e non avessero creduto che tale esplosione era intesa dalla forza che noi a poca distanza vedessimo alle alture della Colla della Vacca: entrati in questo sospetto, ci hanno obbligato a seguirli lungo un burrone disaggioso, minacciandoci nella vita, se mai non ci fossimo fidati di continuare. Il cammino che da loro s’interpretava, come di fatto sarebbe stato, renitenza al cammino per farci raggiungere dalla Forza. Arrivati in un piano si è principiato una salita che al sol pensare si rabbrividisce e senza avere pietà alcuna di noi ci han fatto giungere fino al culmine ed ivi fermati ci han detto chiamarsi quel luogo la Guardiola di Coppo di proprietà dei signori Sepiana(?) di Catanzaro, limiti al Fiego del cennato sign. Girolamo Cosentini: là fermatici fino alla sera ci siam messi nuovamente a camminare per ben sei lunghe ore, passando il fiume detto Bufala, siamo andati a fermare al Timpone di Scarda(?), dove si è passato il resto della notte e la notte del giorno appresso, e l’intero giorno vi si sarebbe passato, se non fosse stata la circostanza di essere veduti da tre guardiani del Barone Barracco che transitavano in Piedicollito. Per tale motivo a mezzogiorno di domenica piovendo siamo passati da quel punto; bosco, bosco, fin che siamo arrivati in Monte Nero ove si è passata la notte disagiosissima per la continuazione della pioggia. Al cucume di quel monte altissimo abbiam passato molto del giorno di lunedì facendo un grave fuoco ove si sono arrostite due pecore che han servito da pasto a tutta la compagnia. Muovendo da colà ci han fatto passare una lunga scoscesa alberata di pini ed indi usciti ad un piano, ci han fatto fermare con una porzione della comitiva: e l’altra col capo si è staccata da noi per andarsi a provvedere di cibo e trovare una località atta per la dimora della sera. Infatti a circa mezzora di giorno è venuto uno dei distaccati, ci ha condotti ad un luogo quasi inaccessibile, che il capo aveva stabilito di passare la notte. Si è trovato del vino venuto da San Giovanni in Fiore e pane bianco, si è mangiato e dormito. La mattina seguente, come per incanto, si è visto nelle mani dei briganti una bombola con l’olio, un'altra con vino ch’era esclusivamente per noi ricattati, una quantità di fratte comode per friggere, si sono preparate e si è mangiato, dopo di che il capo con i principali della comitiva si sono allontanati da noi ed han discusso sulla via da tenere per mettersi in relazione con le nostre famiglie ed aver sollecitamente il prezzo del nostro riscatto e ritrovar modo di portar noi ad un punto inaccessibile alla Forza, e non sospetto. Dopo aver ciò stabilito fra loro, ci han dato comodo da scrivere e noi tanto abbiamo eseguito premurando le nostre famiglie che avessero cercato in tutti i conti a toglierci da quello stato angustioso e pericoloso. Alle 24 ore di quel giorno siamo mossi da quella località ed abbiamo insieme camminato fino a circa due ore della notte fino ad una torre della detta Ramondo(?) di proprietà della Chiesa di San Pietro di Pedace. Là siamo divisi: sette dei ribaldi sono venuti con noi ed il vitto col capo, han preso non sappiamo quale direzione e noi per punti alpestri e piani, siamo terminati ad una fiumara che dicevano scaricarsi sotto San Giovanni ed unirsi al Nieto. L’abbiamo passata su un cavallo che non appena ci ha condotti sulla sponda opposta, non abbiamo più visto, essendo sparito con persona incognita. Si è camminato tutto il resto della notte, siamo fermati al far del giorno entro un folto bosco di candile [pioppi, in dialetto] e pini, ci dissero di esser vicino a Cotronei, poco sopra il fiume Tacina. In questo punto siamo stati due giorni di seguito: però in questo intervallo abbiamo ricevuto ordine dal Capo per mezzo di un brigante, di trasferirci in un luogo di convenio, per farci vedere la prima volta le persone del nostro servizio; di fatti dopo quattro ore e più di cammino passando vicino una torre detta Rinosi del sig. Verga di Cotronei, ci han fatto fermare, dopo circa mezzora con segni convenzionali di notturni gufi, si è riunita tutta la comitiva e due persone del nostro servizio. In quel rincontro è indefinibile la paura che ci fecero avere e le minacce sulla vita, e la blanda determinazione a solo dire, di tagliarci un orecchio per cadauno e mandarle alle nostre famiglie, per premurare a mandar subito il prezzo del nostro riscatto. Ci fecero scrivere al lume di un cerino e, letta la lettera, s’indispettirono, per non aver trovato la particolarità che si volevano assolutamente i ducati 15000, ed in dopo scritto sulla stessa lettera si volle dal capo far scrivere da noi che non dovea mancare un soldo dei suddetti 15000 ducati e stendo la parola di Pietro Monaco, parole di Re. Dopo questo han congedato prima le nostre genti e togliendoci i ferri dai piedi, noi con quella porzione di comitiva che ci custodisce, siamo ripartiti per le stesse cime, ed andati al punto sopra , ed il resto col capo non sappiamo dove, ma per mantenere le corrispondenze con le nostre famiglie. La sera del sabato 16 luglio, avendo creduto che si fosse potuto penetrare dalla forza la nostra dimora, il capo della comitiva ha spedito ordini per muovere da colà; ed infatti ad un’ora di giorno ci … in cammino, seguendolo per tutta la notte. Al far del giorno abbiamo ritrovato tre della comitiva che conducevano a noi una persona del nostre servizio che grandemente li avea premurati di volerci vedere, onde assicurarsi della nostra esistenza di che si temeva. Passammo insieme tutto il giorno di domenica distanti in località ignota di cui non vollero dirci la denominazione. Con la stessa persona scrivemmo alle nostre famiglie caldissime lettere ed incessanti premure a voce, onde toglierci da quello stato per noi insopportabile anche a costo di rimanere ignude le nostre famiglie istesse, a circa tre ore del giorno liberarono la nostra persona di servizio, e noi continuammo a dimorare in sino alle 24 ore, sotto la sferza di una grandine grossa ed intensa. All’imbrunire si partì e ci unimmo dopo breve transito col resto della compagnia nella cosiddetta Guardiola di Carlomagno Sottano. Quivi si passò la notte di domenica e tutto il giorno di lunedì; la sera poi, dietro aver consigliati i principali della comitiva il capo, sulla via da tracciare, si partì e si camminò quasi tutta la notte per luoghi abbastanza piani e poco boscosi. Passammo per davanti una torre che poscia seppimo chiamarsi Vutorino, ivi ci fecero fermare ed entratici con tre o quattro briganti insieme al capo. Si fornirono di commestibilì, e si ripartì. Poco dopo trovammo una fiumara che passammo sopra un ponte di legno di tre alberi di pino l’uno appresso all’altro e non ci vollero dire il nome, seguendo il cammino a circa sei ore siam giunti in un bosco nomato il Corbo: ove si passò l’avanzo della notte e tutto il giorno appresso. Camminando sempre, verso ad un’ora di giorno ci fecero scrivere alla nostre famiglie, sempre né sensi di maggior sollecitudine per l’invio di tutta la somma : senza di che non ci avrebbero salvato la vita. Indi si è divisa la comitiva in due porzioni, una per custodir noi e l’altra per riattivare la corrispondenza con le nostre famiglie che dicevano a più giorni interrotte. Di quel punto siam partiti ed a circa mezza ora di notte siamo arrivati in una piccola pagliaja vicino una torre detta Covone del Barone Barracco, ove siam dimorati un giorno. A circa diciannove ore del giorno, i convenuti, dopo avere intesi a poca distanza diversi colpi di fucile, credendosi malsicuri si sono determinati a partire, e siamo nuovamente rientrati nel sopradetto bosco Corbo dove si è passata la notte e tutto il giorno di venerdì. A tre ore dello stesso giorno è arrivato il capo con la moglie ed un solo, poiché il resto degli altri che eran con lui si erano suddivisi per andare ad uccidere il caporale(?) del sig. Magliari [si tratta del brigante Magliari di Serrapedace aggregatosi alla banda come spia di Raffaele Falcone, capo delle Guardia Nazionale di stanza a Camigliati]. Da Colà ci fecero scrivere nuovamente alle nostre famiglie, sempre nei sensi che non dovrà mancare un grano della somma di 15000 ducati. Diversamente avrebbero mandato le nostre teste ed alle ore 24 siam partiti da quel punto, e transitando un immenso vallo detto il Campo della Sila Grande, dopo sei ore di cammino ci han fatto fermare in un bosco di fagi poco distante del casino di Fallistro del sig. Mollo. Prima però di giungerci, il capo avea fatto fare provvigioni cibarie e si era deciso da noi per spedir corrieri alle nostre famiglie. Nel sopradetto bosco fermammo tre giorni e nel mezzogiorno 14 stante, fu spedito uno dei nostri custodi alla Calcara di Macchia Sacra e trovò ordini del capo che dovevamo partire per recarci a Macinello. Di fatto a circa 20 ore muovemmo e camminando tutto il giorno per il bosco, siam giunti a circa un’ora di giorno sopra la cosiddetta Valle dell’Inferno dove ci han fatto fermare sino alle ore 24. Poscia si è seguito il cammino, ed a circa tre ore di notte siam fermati al sopradetto punto Silacinello. Al rompere alba , è venuto a noi uno dei briganti ch’era col capo e ci ha detto di essere poco discosto da noi e che aspettavano le genti del nostro servizio. Di fatti verso il mezzogiorno seppimo che tanto avea avuto luogo. Quel giorno ci maltrattarono grandemente facendoci stare sempre coi ferri nei piedi e legati nelle braccia e privi di acqua. Verso quattro ore di giorno, è venuto il capo insieme alle genti del nostro servizio, che ci han trovato in quella deplorabile posizione, ci han sciolte le sole braccia, per farci scrivere e tanto abbiamo praticato, facendo conoscere alle nostre famiglie ch’era l’ultima volta che scrivevamo e che avrebbero realizzato la minaccia di mandare le nostre teste, quante volte fosse mancato un grano alla somma di ducati 15000 e noi soggiungemmo che il modo brutale e inumano col quale avean principiato a trattarci, ci avrebbe uccisi , pria che a tanto si fossero determinati, e che perciò aver fatto tutto il possibile a mandar la suddetta somma, se le nostre vite l’avean care. Partiti da colà all’imbrunire della sera, ci han portato verso la Sila Piccola e siam portati a poca distanza del Cecio(?), passando per acqua di Corbo, siamo arrivati a Quatiagesima, di proprietà del sig Girolamo Cosentini fittato al Barone Barracco, là ci han fatto fermare dentro il bosco con una porzione della compagnia e l’altra porzione è andata alla pagliaja, onde fornirsi di pane, formaggio e due pecore che in stesso bollirono e seguendo il cammino siam fermati in un piccolo bosco tra Colle di Ascione, Camarda(?) ove si è passato l’avanzo della notte e tutto il giorno di giovedì. La sera poi per la Via del Milillo, siamo andati nel bosco detto Lardonetto sopra Piedicollito, del Barone Barracco, ove abbiamo dimorato fino a Domenica con due ore di giorno, dietro aversi prima l’intera somma di 15000 ducati col di più di 350 ducati che dicevano non doversene tener conto, oltre poi a 200 ducati che si sono spesi per appagare i loro desideri che gli venivano davanti i 32 giorni di nostra cattività ed indipendentemente dall’esaurire le nostre dispense del commestibile di provviste, come pure mandate via tutte le biancherie, consistenti in camicie, calzo netti e calze. Questa è la dolente istoria che i sottoscritti fan noto alla di lei autorità.Santo Stefano lì 20 luglio 1863Antonio Parisio SindacoAchille Mazzei
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